Se l’abuso d’ufficio è un reato indistinto, ma concepito almeno in una logica “general preventiva”, il traffico d’influenze illecite è una fattispecie introdotta undici anni fa nel nostro ordinamento (con la legge Severino) in piena sintonia con lo spirito antipolitico dei tempi. Letteralmente è la criminalizzazione del lobbismo politico, a tutti i livelli, perché la generica “utilità” a cui fa riferimento l’articolo 346- bis del codice penale può essere potenzialmente individuata in qualsiasi condotta di intermediazione. Certo, il traffico d’influenze investe meno sistematicamente l’azione degli amministratori locali: richiede per sua natura una più serrata opera d’investigazione, piuttosto che la “ratifica” del solito esposto di un controinteressato. Il che spiega da una parte perché una “lobby” istituzionale, strutturata e potente come quella dei sindaci abbia puntato a una battaglia trasversale contro l’abuso d’ufficio ma si sia interessata assai meno del traffico d’influenze. Ma dall’altra, il legame assai più blando fra esposti- querele e indagini per 346- bis spiegano il motivo per cui quest’ultima fattispecie produca esiti processuali assai deludenti quanto l’articolo 323.

In ogni caso si tratta di un’ombra, di una minaccia che incombe su chiunque faccia politica anche in senso lato. E così il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha già messo a punto, con l’obiettivo di proporlo nel giro di una decina di giorni al massimo in Consiglio dei ministri, un disegno di legge che modifica sia l’abuso d’ufficio che il traffico d’influenze. Riguardo alla seconda fattispecie, si ipotizza di circoscrivere il reato in modo che la condotta resti penalmente rilevante solo qualora l’utilità procurata dal mediatore al pubblico ufficiale abbia una natura patrimoniale, o nell’ipotesi in cui la mediazione miri a far commettere al pubblico ufficiale un ulteriore reato. E poiché Luca Palamara non ha mai chiesto o ricevuto soldi per realizzare le proprie interpolazioni su nomine e altre scelte di competenza del Csm, l’eventuale riforma Nordio potrebbe travolgere definitivamente il processo di Perugia, e cancellare anche la pena patteggiata ieri dall’ex presidente Anm. Con quali conseguenze concrete sul giudicato disciplinare, è però difficile dirlo.

Certo, il combinato disposto fra il patteggiamento di ieri a Perugia e la riforma in arrivo dal governo sembra riaprire decisamente la vicenda personale e giudiziaria dell’ex magistrato, divenuto capro espiatorio di tutti i vizi del correntismo. D’altra parte, se le conseguenze penali, in termini di decadenza del reato in virtù del favor rei, cioè della retroattività delle legge penale se favorevole alla persona accusata, sono evidenti, la questione non è altrettanto semplice sul piano disciplinare. Soprattutto perché gli illeciti contestati in ambito professionale a Palamara non sono precisamente sovrapponibili all’intermediazione illecita: gli sono state contestate, fino alla definitiva condanna, anche azioni “contro” i colleghi e il generale discredito arrecato alla funzione giudiziaria.

Allo stato, sembra plausibile che il venir meno del reato della condanna patteggiata a Perugia possa servire a Palamara per irrobustire le proprie ragioni dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, presso la quale ha proposto un ricorso basato sull’ipotesi di aver subito un ingiusto processo dinanzi al Csm. Se Strasburgo riaprisse il caso, tutto potrebbe succedere. Ma per ottenere giustizia dall’Europa, considerati i tempi abituali della Cedu, Palamara dovrebbe attendere ancora diversi anni.