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Oggi il premier parla al Senato Per i bookmakers resta...
È il momento della verità: il premier Mario Draghi parla stamattina in Senato, e chiarirà se è disponibile a continuare. Alla successiva discussione e al voto di fiducia di Palazzo Madama sarà dedicata l’intera giornata di oggi. Domani la stessa sequenza sarà replicata a Montecitorio. Senato, ore 9: 30 Inizia lo show, governo in bilico
Draghi a palazzo Madama tra dimissioni e fiducia M5S spaccato, centrodestra indeciso, Pd prudente
È il primo dei due giorni di resa dei conti in Parlamento, che decreta la sopravvivenza o meno del governo guidato da Mario Draghi. Il presidente del Consiglio parlerà questa mattina in Senato, a seguire dibattito, replica e voto di fiducia previsto nel tardo pomeriggio. Stesso schema domani alla Camera, dove tuttavia l’inquilino non ripeterà il discorso, per cui i tempi saranno più stretti e il tutto dovrebbe concludersi a metà giornata. Cosa uscirà da questa due giorni di fuoco tra palazzo Madama e Montecitorio è impossibile da pronosticare. La prima ipotesi da verificare è se il presidente del Consiglio confermerà o meno le proprie dimissioni, già presentate al capo dello Stato e poi respinte la scorsa settimana. Se così fosse, l’intero iter parlamentare si bloccherebbe e la palla passerebbe nelle mano del presidente della Repubblica. Con il quale Draghi ha avuto ieri un colloquio in mattinata al Quirinale dal quale non è trapelato nulla, e chissà che i due non abbiano delineato la rotta per portare il paese a elezioni anticipate in autunno. D’altronde, l’ex presidente della Bce ha sempre sostenuto di non voler governare senza il sostegno del Movimento 5 Stelle, ipotesi questa, a poche ore dal voto, lontana dal verificarsi. Se una sparuta truppa di parlamentari grillini è pronta a seguire il capogruppo alla Camera, Davide Crippa, e votare la fiducia a Draghi, gran parte dei pentastellati è decisa a seguire il leader, Giuseppe Conte, nella volontà di staccarsi dalla maggioranza. «Ascolteremo il discorso di Draghi in Aula e trovo chiaro che, se aprirà ai principali temi posti all’interno dei 9 punti da parte del Movimento, non confermare la fiducia diventa ingiustificabile», ha detto ieri lo stesso Crippa, ormai in procinto di lasciare il M5S. Secondo l’ex capo politico e ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, oggi leader di Insieme per il futuro, «l’intero direttorio M5S alla Camera è pronto a votare la fiducia». Ma potrebbe non bastare, se è vero come è vero che al Senato i pentastellati disposti a dire ancora una volta sì a Draghi sono poche unità. Sullo sfondo si muovono gli altri partiti, in un continuo tira e molla tra minacce di voto anticipato e volontà di proseguire l’esperienza di governo.
Ad auspicare la campagna elettorale «nella primavera del 2023», affinché «si confrontassero idee diverse su come Italia dovrà essere nel 2028», è stato ieri il segretario del Partito democratico, Enrico Letta, che in questi giorni sta facendo di tutto per tenere l’intero M5S in maggioranza, salvando così sia il governo che la propria idea di “campo largo” sulla quale basare la corsa alle Politiche del prossimo anno. Lo stesso Letta ieri mattina ha visto Draghi a palazzo Chigi, incontro che ha suscitato lo «sconcerto» del centrodestra di governo. Che ieri si è riunito a Villa Grande, dimora romana del leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, alla presenza dei vertici di Lega, Fi, Udc e Noi con l’Italia. Al termine della reunion, durata oltre cinque ore e alla quale è seguito un rendez vous tra gli stessi leader e Draghi, gli alleati hanno espresso «la necessità di una profonda revisione del reddito di cittadinanza, la pace fiscale e la conseguente rottamazione delle cartelle esattoriali, l’investimento sul nucleare di ultima generazione e un fermo contrasto all’immigrazione clandestina». Il tutto dopo aver definito «inspiegabili» i comportamenti di Giuseppe Conte, del Movimento 5 Stelle e del Partito democratico. Ma se da una parte Salvini deve fare i conti con i propri governatori, schierati in prima linea per la prosecuzione dell’esperienza di governo, Berlusconi deve tenere a bada i propri ministri, secondo i quali «serve buon senso» perché «sarebbe incomprensibile» mandare a casa Draghi. Il quale ieri ha parlato al telefono con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, reiterando «il pieno sostegno e solidarietà del Governo italiano all’Ucraina». Per ricevere poi il ringraziamento di Zelensky, in particolare per «il significativo contributo personale del primo ministro nel concedere all’Ucraina lo status di paese candidato all'adesione all’Ue». Ancora poche ore e scopriremo se sia stato un colloquio di congedo o di rilancio dell’azione di governo nel sostegno a Kiev.