LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO

Una sentenza del Consiglio di Stato, la n. 7025 dello scorso 9 agosto, propone, seppur indirettamente, il tema della presenza e partecipazione attiva degli avvocati nei Consigli giudiziari. I giudici della Sezione Quinta ( presidente Luciano Barra Caracciolo, estensore Giovanni Grasso) si sono pronunciati sull’appello presentato da un magistrato.

GENNARO GRIMOLIZZI Avvocati nei consigli giudiziari una battaglia per la trasparenza

Antonino Galletti presidente del Coa di Roma interviene sulla delicata questione «Di cosa hanno paura? Che i legali facciano rispettare le regole basilari del diritto? »

Una recentissima sentenza del Consiglio di Stato, la n. 7025 dello scorso 9 agosto, propone, seppur indirettamente, il tema della presenza e partecipazione attiva degli avvocati nei Consigli giudiziari.

I giudici della Sezione Quinta ( presidente Luciano Barra Caracciolo, estensore Giovanni Grasso) si sono pronunciati sull’appello presentato da un magistrato, difeso da Antonino Galletti, presidente del Coa di Roma, il quale si vide respinta nel 2016 dal Csm l’istanza di riconferma nell’incarico di presidente del Tribunale di Asti.

Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, ha accolto il ricorso di primo grado annullando i provvedimenti impugnati, «con salvezza delle successive determinazioni amministrative».

Palazzo Spada si concentra sul parere negativo espresso da un altro magistrato, all’epoca dei fatti pubblico ministero, nei confronti dell’appellante in sede di Consiglio giudiziario.

Il parere è stato espresso in conflitto di interesse, come rileva il CdS, con ricadute sulle successive valutazioni svolte dal Consiglio superiore della magistratura, dato che il pm aveva avviato una indagine penale nei confronti dell’altro magistrato «per fatti correlati ad alcune procedure fallimentari». Secondo il Consiglio di Stato, «il subprocedimento relativo alla acquisizione del parere del Consiglio giudiziario è governato, in ragione del suo rilievo non meramente formale, da rigorose ed obiettive formalità, sicché la sua irrituale attivazione o, più in generale, la sua illegittima conduzione è potenzialmente in grado di incidere, per invalidità derivata, sulla correttezza ( sostanziale) e sulla validità ( formale) delle pedisseque determinazioni del Consiglio Superiore».

I giudici rimarcano l’importanza dei passaggi valutativi che avvengono nel Consiglio giudiziario per le valutazioni.

«Nel caso di specie – scrivono -, è un fatto che alla formulazione della complessiva valutazione di professionalità, ai fini della conferma nell’incarico dirigenziale, abbia concorso, in sede di elaborazione del parere di competenza del Consiglio giudiziario, un magistrato che, nell’esercizio delle proprie funzioni requirenti, aveva sottoposto ad inchiesta, per aspetti rilevanti, obiettivamente delicati e per giunta temporalmente coevi a quelli apprezzati a fini professionali e con formulazione di gravi accuse, il collega interessato.

Fatti che – ai sensi dell’articolo 83, comma 2 lettera a) del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria – assumono, peraltro, specifico e qualificato rilievo ( in quanto oggetto di obbligatoria acquisizione e valutazione) in sede di formulazione del parere per la conferma dei titolari di incarichi direttivi e semidirettivi. Nel solco delle esposte coordinate, si tratta di una situazione che – di là dalle “gravi ragioni di convenienza” – avrebbe in ogni caso imposto la previa “segnalazione” del conflitto valutativo e la successiva e doverosa “astensione”.

L’avvocato Antonino Galletti si sofferma su diversi aspetti della pronuncia del Consiglio di Stato. Il primo riguarda le attività all’interno dei Consigli giudiziari. «La sentenza – spiega al Dubbio - è interessante perché evidenzia le illegittimità macroscopiche che il Consiglio giudiziario può compiere ai danni di un magistrato, nella fattispecie parliamo di un presidente di Tribunale, nell'ambito di procedimenti dove trasparenza e partecipazione talvolta sono un optional» . La questione del conflitto di interessi è emersa con chiarezza nel caso affrontato dai giudici di Palazzo Spada ed è di una delicatezza estrema.

«Nel caso concreto – spiega il presidente del Coa di Roma nel Consiglio giudiziario sedeva un magistrato che aveva denunciato il giudicando e che ha ritenuto di non doversi astenere. Addirittura gli scritti difensivi del giudicando non erano stati trasmessi per essere valutati e, dunque, non erano stati neppure letti.

Il Csm dal canto suo aveva poi ritenuto il tutto perfettamente legittimo. Per fortuna il Consiglio di Stato ha evidenziato le macroscopiche illegittimità, ma nel frattempo l'interessato è andato in pensione e nessuno gli restituirà le funzioni direttive che gli erano state tolte. Allora, viene da domandarsi, è per questo che si vogliono lasciare fuori dai Consigli giudiziari gli avvocati? Si ha il timore che possano introdurre il rispetto di elementari principi di trasparenza e partecipazione che oramai da decenni sono appannaggio di tutti i procedimenti amministrativi e, a fortiori, di quelli valutativi?» .

ANTONINO GALLETTI PRESIDENTE DEL COA DI ROMA