LO SCENARIO

Centrale il colloquio con Macron per capire cosa vuole Putin: togliere Kiev dall’influenza “occidentale”

Ache punto è la notte, a che punto è la guerra in Ucraina? Una prima notizia positiva, nel disastro del conflitto, è che la reazione dell’Occidente avrà effetti. Le sanzioni varate, assai più incisive di quelle che colpirono Mosca dopo l’annessione della Crimea, funzionano. Non solo il rublo ha perso il 14% sul dollaro ( da sommare al 60% perso dal 2014 ad oggi), costringendo la Banca centrale russa ad alzare i tassi di interesse al 20% con l’inevitabile effetto collaterale di mandare al galoppo l’inflazione. Soprattutto, Mosca non potrà reagire attingendo alle sue riserve, a quei circa 630 miliardi di dollari appositamente accantonati perché quei fondi appartenenti a uno stato sovrano - ma depositati presso banche estere - sono stati bloccati domenica scorsa per decisione comune di Stati Uniti, Francia, Germania, Italia, Inghilterra e Canada. Non era mai accaduto prima, come non era mai accaduto prima che ad alzare barriere finanziarie contro la Russia ci fosse anche la Svizzera, uscita dalla sua tradizionale neutralità.

L’altro spiraglio di luce nel disastro della guerra è che si susseguono, per quanto violentemente represse, le manifestazioni spontanee di cittadini russi contro l’aggressione all’Ucraina. Hanno riguardato una cinquantina di città, e rappresentano il fattore centrale di uno dei possibili scenari di lungo, forse lunghissimo periodo: l’inizio di un logoramento di Vladimir Putin. Cui certo potrebbero contribuire non poco le sanzioni, che colpiscono al momento 680 persone fisiche e 53 imprese, ma che avranno ripercussioni dolorose anzitutto sulla vita quotidiana dei cittadini russi. La popolazione russa, in maggioranza anziana, è però sempre stata disposta a tutto, anche a patire la fame per “la madre Russia”. Ed è a loro che Putin parla, quando cita la «denazificazione dell’Ucraina», quando dice «dobbiamo riprenderci un territorio che è russo». E va notato che per settimane anzitutto a Kiev non si dava credito ai report dell’intelligence americana, e a Joe Biden, che avvertivano di preparativi in corso per l’invasione, con motivi speculari: Putin non aggredirà mai una nazione ex sovietica. Una nazione nella quale proprio Zelensky ha a suo tempo sgombrato il campo dal facile nazionalismo, rendendo a tutti gli ucraini la possibilità di parlare anche il russo, facendo di quella lingua di fatto una lingua nazionale quanto l’ucraino. Quegli argomenti Putin non li ha invece nemmeno accennati nel colloquio che ha avuto tre giorni fa col presidente francese Macron.

È a quel colloquio che occorre guardare se si vuol capire cosa c’è nella testa dell’autocrate di Mosca. Anzitutto perché, sia pure sfrondando da manipolazioni e bugie col quale il leader di Mosca infittisce da sempre i suoi discorsi, occorre analizzare con attenzione quello che dice, perché c’è stata - purtroppo- sinora una certa linearità di comportamento. Prima di aggredire l’Ucraina, Putin aveva pubblicamente avvertito che occorreva «risolvere» la questione del Donbass, e accantonare l’idea di adesione dell’Ucraina alla Nato, e che occorreva «risolvere adesso» : una chiara minaccia, avendo già schierato mezzi militari e 140mila uomini ai confini.

A Macron pare abbia detto quel che nel frattempo rimbalzava al tavolo di trattativa, proposto dai russi: il riconoscimento dell’annessione della Crimea avvenuta di fatto nel 2014, la garanzia che l’Ucraina non entrerà nella Nato, e invece la sua «finlandizzazione», ovvero la sua neutralità. E, in più, la sua smilitarizzazione, per quanto gravissimo e provocatorio ( ha provocato infatti una certa rabbia in Macron) possa essere chiedere la smilitarizzazione di un Paese che si è appena aggredito.

La risposta occidentale è stata, concretamente e anche da parte dell’Italia, l’invio di aiuti e mezzi militari per un controvalore complessivo, da parte di tutti i Paesi europei, che alla fine arriverà a toccare il mezzo miliardo di euro. La sola Ursula Von Der Leyen ha reagito chiedendo di aprire le porte della Ue a Kiev, con Zelensky che al Parlamento Europeo ieri ha chiesto una «procedura d’urgenza». Essa in realtà non esiste, né sulla carta né nei fatti, perché per aderire alla Ue occorre soddisfare un’infinità di requisiti e completare un’infinità di passaggi, l’ultimo dei quali consiste nel voto unanime dei 27 capi di Stato e di governo. E si sa già della contrarierà quantomeno di Francia e Olanda, che credono occorra stringere i bulloni dell’Unione prima di ulteriori allargamenti. D’altro canto, fu proprio quando l’Ucraina nel 2013 strinse con la Ue un accordo di cooperazione che cominciarono le proteste di piazza, la famosa rivolta di piazza Maidan, perché l’allora presidente Yanuchovich fu costretto da Mosca a rinunciare a firmare quell’accordo.

Dunque, sapendo che ancor meno possibile è l’adesione di Kiev alla Nato, poiché mancano del tutto i prerequisiti, quello che Putin vuole è evidente: togliere l’Ucraina dall’influenza «occidentale». Stroncare i principi di democrazia liberale di quella nazione.

E per questo, forse, pare che Macron abbia commentato che «sarà lunga».

Quanto alle ipotesi che circolano, Putin è paranoide, vive isolato, sconfessa in pubblico chi non lo asseconda ( lo ha fatto col capo dell’intelligence in diretta televisiva), forse non contengono alcuna indicazione o prospettiva: non sono forse i tratti salienti comuni a tutti gli autocrati, a ogni latitudine? Né si può sperare, come purtroppo si è potuto leggere anche su media autorevoli, nella “fine dell’era Lavrov”, in un’uscita di scena del più stretto collaboratore di Putin, un ministro degli Esteri che tra l’altro campeggia sulla scena internazionale da due decadi. Perché Lavrov è la parte razionale di Putin, e soprattutto perché non è affatto uscito di scena. Per fortuna. Ieri, bloccato a Mosca dalla chiusura ai russi di ogni spazio aereo occidentale, ha partecipato in video a un meeting dell’Onu a Ginevra, e ha mandato due messaggi che possono aiutare a capire le richieste di Putin. «L’Ucraina ha il nucleare sovietico, e questo per noi è un rischio», ha detto aggiungendo una velata minaccia, «dato anche che siamo fedeli alla non proliferazione…». E «l’Ucraina dimostri reale indipendenza negoziale». Perché mentre le città ucraine sono sotto assedio e si bombarda Kiev, riprenderanno presto i negoziati russo- ucraini, stavolta in una località al confine tra Polonia e Bielorussia. Negoziati avvolti dal più fitto mistero, ogni volta a sessioni di cinque ore l’una, e interrotti solo per riferire ai rispettivi presidenti. Tutti segnali che indicano che si tratta sul serio, anche se è evidente che Putin punta a prendere Kiev, a mettersi in una posizione di forza, prima di far entrare le trattative nel vivo. Mentre intanto la guerra, e la notte, continuano.