Il procuratore di Reggio Emilia Calogero Gaetano Paci “attacca” le difese del processo Angeli&Demoni, sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza. Con un’accusa di mediatizzazione che arriva nel momento in cui il procedimento è pubblico e, dunque, accessibile ai media - che cozza con il clima da tribunale mediatico che ha caratterizzato la fase delle indagini, tale da spingere il gip a revocare le misure cautelari ai due principali indagati «proprio in ragione della distruzione dell’immagine pubblica degli indagati, tanto che essi devono temere per la loro incolumità».

Paci ha scelto di intervenire in prima persona in aula, a difesa dell’indagine e della collega Valentina Salvi - titolare dell’inchiesta - puntando il dito contro le difese, che nella scorsa udienza avevano criticato alcune scelte della pm. Prima fra tutte quella di contestare alcune specifiche aggravanti - la relativa questione sollevata dalle difese è ancora sub iudice - in relazione alle accuse di falso e lesioni.

Nel primo caso, la procura ha infatti contestato l’aggravante prevista dall’articolo 476 comma 2 - “Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni” -, contestabile relativamente agli atti fidefacenti. Nel secondo, invece, Salvi ha spostato avanti la consumazione delle lesioni, facendole diventare continuate. Una mossa, secondo le difese, dettata dall’esigenza di evitare la prescrizione, «una modifica strumentale ed abusiva per tenere in vita il processo», aveva commentato subito dopo l’udienza Oliviero Mazza, difensore, assieme a Rossella Ognibene, dell’ex assistente sociale Federica Anghinolfi, principale imputata del processo. Gli imputati hanno ora tempo fino al 20 marzo per decidere se andare avanti con il rito ordinario o scegliere riti alternativi.

La difesa aveva però anche contestato a Salvi una “svista”, ovvero quella di aver depositato una memoria che conteneva tra gli allegati atti di indagine non consentiti dalla procedura, come trascrizioni di chat, parti di relazioni dei periti e sommarie informazioni testimoniali che i giudici avrebbero dovuto conoscere soltanto durante il dibattimento. Documenti poi rimossi da Salvi - così come ritenuto corretto anche dalla Corte -, che ha giustificato l’errore parlando di «refuso».

Da qui la contestazione delle difese, alle quali ieri ha risposto Paci, secondo cui il presunto errore commesso dalla pm non sarebbe da considerare tale, in quanto sarebbe giusto far conoscere tali atti al Tribunale. Secondo il procuratore dai banchi degli avvocati sarebbe arrivata, dunque, «una serie di riferimenti a mio giudizio non solo sgradevoli sul piano della dialettica processuale, ma anche pesantemente offensivi e delegittimanti della pubblica accusa da parte di alcuni avvocati».

Che avrebbero messo in discussione la procura, nonostante la tenuta delle accuse nelle fasi cautelari e preliminari del dibattimento. «La mia non è una difesa d’ufficio perché il capo di un ufficio giudiziario ha il dovere di intervenire quando la credibilità e la professionalità di un magistrato viene messa indebitamente, scorrettamente in discussione anche attraverso articoli di stampa, spostando il sacro rispetto del recinto del processo su una funzione mediatica e mediatizzante. Nulla di più scorretto dunque», ha sottolineato, contestando il «vaso comunicante che è evidente si sia venuto a creare tra il processo e il suo palcoscenico, cioè la stampa».

Parole che hanno fatto saltare sulla sedia il professore Mazza. «Mi sorprende l’affermazione del procuratore in merito agli atti erroneamente depositati dalla pm - ha commentato al Dubbio -, in quanto contraria alla filosofia del codice, che è fondata sulla separazione delle fasi. Ho trovato questo intervento decontestualizzato, in quanto non era il momento per fare una requisitoria sul processo Bibbiano, né quello di fare una difesa d’ufficio della dottoressa Salvi. Il discorso verteva sulle questioni preliminari, invece ho sentito un discorso di politica giudiziaria».

Ma la cosa peggiore, a dire del legale, è stata l’attacco alle difese, accusate di portare avanti una strategia di mediatizzazione del processo. «Di fronte a questa accusa rimango sconcertato - ha aggiunto -. Sappiamo tutti quanto sia stata mediatica la fase delle indagini. Il dibattimento è pubblico, dunque tutto quello che accade in aula è destinato a defluire sulla stampa. Viceversa, le indagini dovrebbero essere condotte in segreto e nonostante questo ricordo perfettamente di aver ascoltato le intercettazioni al telegiornale delle 20. L’accusa di utilizzare la sponda mediatica in un momento in cui gli atti sono pubblici e non quando gli atti erano ancora segreti mi pare assurda. È giusto che la libera stampa possa interrogarsi sui fatti che hanno portato a questo giudizio e anche sulle modalità di conduzione delle indagini».

I giudici hanno infine accolto la richiesta dell’avvocata Ognibene di acquisire le relazioni originali degli assistenti sociali, che secondo l’accusa sarebbero state modificate per pilotare gli affidi e dimostrare i presunti abusi