Di Matteo e Ardita contro i colleghi: «È l’unico antidoto al correntismo» E il laico Cavanna striglia i togati per le posizioni dure sull’avvocatura

Il sorteggio come primo passo verso la riduzione della democrazia. È con questa motivazione che ieri il plenum ha approvato - con 19 voti a favore e 5 contrari l’emendamento al parere sulla riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm che boccia il sorteggio come possibile metodo di elezione dei componenti togati di Palazzo dei Marescialli. Un voto che si concluderà domani, con il parere su tutti gli emendamenti al documento elaborato dalla Sesta Commissione, che verrà poi consegnato alla ministra Marta Cartabia. Che ieri ha incontrato i vertici di avvocatura e magistratura per discutere della riforma, ora ferma in Commissione Giustizia alla Camera. Ma intanto, a Palazzo dei Marescialli è emerso il disappunto di chi vede in quella riforma un modo per zittire e punire le toghe, reduci dai tre anni peggiori della storia della magistratura. «Nell’assetto costituzionale - ha sottolineato il togato Carmelo Celentano, relatore del parere e firmatario dell’emendamento - l’elezione dei magistrati è non soltanto espressione del generale principio democratico ma costituisce un vera e propria responsabilità che ogni singolo magistrato ha di esprimere il proprio organo di garanzia». Parere col quale hanno manifestato disaccordo i togati Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo, nonché i laici Stefano Cavanna, Emanuele Basile e Alessio Lanzi. «Oggi, col sistema dell’elezione così come finora congegnata, troppo spesso quella elezione si riduce ad una finzione - ha sottolineato Di Matteo -. Quante volte abbiamo avuto un numero di candidati pari a quello degli eletti o a un rito scontato, per il quale sono stati i gruppi nel tempo a preparare e a rendere scontato l’esito delle elezioni? Il sorteggio è l’unico sistema elettorale che oggi può scompaginare i piani del correntismo». Ma tale sistema, secondo il togato di Area, Giuseppe Cascini, rappresenterebbe una manifestazione di sfiducia nei confronti degli elettori e una riduzione «del ruolo di rappresentanza del Consiglio» che «significa anche riduzione del suo ruolo di tutela e garanzia dell’ordine giudiziario», trasformandosi così in mero organo «di amministrazione del personale». Non è la sorte, ha aggiunto, «che può decidere quale opzione valoriale su temi fondamentali può essere prevalente. Ci sono ragioni di tutela che impongono di scegliere la strada compatibile con la Costituzione». Una prospettiva che non ha convinto il consigliere laico Alessio Lanzi, contrario all’idea secondo cui il sorteggio sarebbe di per sé contrario alla Costituzione. «Le correnti sono ineliminabili, nella misura in cui rappresentano aggregazioni culturali di comune sensibilità - ha evidenziato -. Altro problema è il correntismo, alla cui base c’è l’elezione, perché comporta un vincolo di rappresentanza. Il tema non è metterlo in contrasto con la democrazia, perché tutti siamo convinti che sia ottimale, ma una democrazia determina il Parlamento, che è diviso per partiti: se vogliamo che il Csm non sia diviso per partiti e correnti bisogna eliminare l’elezione». La soluzione per seguire il dettato costituzionale, secondo Lanzi, consisterebbe proprio nel sorteggio temperato, che non abolisce «il totem elezione». Ma per il laico Alberto Maria Benedetti, «ridurre le elezioni ad un rito e in un secondo momento sopprimere o limitare il diritto di associarsi» rappresenta il primo passo verso un regime non democratico.

Il plenum si è anche espresso contrariamente al divieto per i pm di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie alla stampa, divieto «palesemente irrazionale e in contrasto con il diritto di manifestazione del pensiero dei magistrati». Nel mirino del Consiglio il nuovo illecito disciplinare introdotto dalla riforma sulla presunzione di innocenza, che «rischia da un lato di impedire qualsiasi comunicazione o informazione sui procedimenti penali, non solo quelli in corso, ma anche quelli già definiti, e dall'altro si attribuisce ai titolari dell'azione disciplinare un potere di controllo e condizionamento amplissimo sui procuratori della Repubblica e su tutti i magistrati del pm», affermano i consiglieri. L'emendamento è stato proposto dai consiglieri di Area e approvato con 15 voti a favore, 3 contrari e 6 astenuti. «Non si tratta di tutelare l’interesse del pm a rendere dichiarazioni - ha sottolineato il procuratore generale Giovanni Salvi -, ma di tutelare il diritto dei cittadini e dell’opinione pubblica ad essere correttamente informati. Sono, pertanto, effettivamente necessarie nuove ipotesi di illecito che assicurino il rispetto delle norme sulla presunzione di innocenza, garantendo però il rispetto del principio costituzionale di offensività dell’illecito disciplinare».

La prima parte della discussione di ieri ha anche riguardato la sfiducia manifestata nei confronti del mondo dell’avvocatura. E ad evidenziarla è stato, in particolare, il laico Cavanna, che ha presentato un emendamento sul voto unitario degli avvocati nei consigli giudiziari. Secondo la Sesta Commissione, infatti, il parere dei Coa su direttivi e semidirettivi rischierebbe di introdurre una ricerca del consenso. «Mi fa specie un’enfasi di questo tipo - ha evidenziato -. Vuol dire che o gli avvocati vanno alla ricerca di appoggi in magistratura per vincere le cause, oppure, per converso, che a cercare il consenso sono i magistrati. Capisco che ci sia una preoccupazione, ma espressa in questo modo mi lascia perplesso: è come dare agli avvocati dei corruttori e ai magistrati dei corruttibili. È una brutta immagine».