«Non essendo dimostrabile né una disabilità intellettiva, né un disturbo psichiatrico maggiore né un grave disturbo di personalità, è possibile affermare che Alessia Pifferi al momento dei fatti per i quali è imputata era capace di intendere e di volere». Sono le conclusioni della perizia psichiatrica che riguarda la donna a processo a Milano per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana di solo 18 mesi.

«Vista la mantenuta capacità di intendere e di volere non è possibile formulare una prognosi di pericolosità sociale correlata ad infermità mentale» si legge nelle quasi 130 pagine di relazione scritta dagli esperti che «in presenza di un funzionamento cognitivo integro e di una buona capacità di comprensione della vicenda giudiziaria che la riguarda, sia in termini di disvalore degli atti compiuti sia dello sviluppo della vicenda processuale», ritengono la donna «capace di stare in giudizi».

«La spettacolarizzazione mediatica subita da questa drammatica e tristissima vicenda - spiega lo psichiatra Elvezio Pirfo che ha firmato la relazione - avrebbe potuto costituire un'indiretta pressione psicologica» sul perito e sui consulenti di parte, con il rischio «che si crei un circolo vizioso tra il tipo di reato e le modalità con cui è stato commesso da una parte e un'automatica o psichiatrizzazione delle motivazioni o valutazione moralistica dall'altra» ma tale rischio «non si è realizzato perché l'attività peritale si è svolta in maniera professionalmente serena grazie all'atteggiamento di collaborazione tenuto dai consulenti di parte, pur nelle differenze delle proprie valutazioni cliniche e forensi, permettendo così di realizzare l'osservazione peritale nell'assoluta normalità “tecnica”».

Alessia Pifferi ha personalità caratterizzata da «alessitimia, incapacità cioè di esprimere emozioni e provare empatia verso gli altri» e mostra una capacità cioè di sopportare gli eventi avversi «superiore a quanto ci si possa aspettare in una persona segnata da un'esistenza complessa e per certi versi infelice».

L'imputata, secondo gli esperti incaricati dai giudici della prima corte d'assise di Milano, «non è stata né è affetta da disturbi psichiatrici maggiori, non è portatrice di gravi disturbi di personalità» e al momento dei fatti «ha tutelato i suoi desideri di donna rispetto ai doveri di accudimento materno verso la piccola Diana».