Oggi sono stati nostri ospiti allo stand del Dubbio al Salone del Libro di Torino l’avvocato Valerio Spigarelli, già presidente dell’Unione Camere Penali, Eugenio Albamonte, Segretario di AreaDg, e il perito informato Paolo Dal Checco per parlare di intercettazioni e trojan. Abbiamo deciso di affrontare con loro questo tema per due motivi. Il primo: il ministro Nordio ha ripetuto più volte da quando siede a Via Arenula di voler fare una riforma delle intercettazioni. Illustrando le sue linee programmatiche ha detto: «La presunzione di innocenza è stata e continua a essere vulnerata in molti modi, tra cui l’uso eccessivo e strumentale delle intercettazioni, la loro oculata selezione con la diffusione pilotata», e «In Italia il numero di intercettazioni telefoniche, ambientali, direzionali, telematiche, fino al trojan e un domani ad altri strumenti, è di gran lunga superiore alla media europea, e ancor più rispetto a quello dei paesi anglosassoni. Il loro costo è elevatissimo, con centinaia di milioni di euro all’anno. Gran parte di queste si fanno sulla base di semplici sospetti, e non concludono nulla». Il secondo: la Commissione Giustizia del Senato presieduta da Giulia Bongiorno sta conducendo una serie di audizioni proprio su questo tema. Una proposta sollevata dall’Ucpi durante le audizioni è stata quella di togliere dagli elenchi dei telefoni intercettabili quelli dei difensori, perché sempre di più si sta verificando questo fenomeno. Ovviamente non si tratta di pretendere impunità. Per Valerio Spigarelli «senza alcuna ipocrisia: tutti i clienti sanno che quando parlano con il loro avvocato possono essere intercettati, visto che succede spessissimo. La legge prevede l’inutilizzabilità di quelle intercettazioni, ed è chiara. Tuttavia la giurisprudenza ha stabilito che è possibile intercettare il cliente che parla con l’avvocato. Chi ascolta verifica che non stiano violando la legge e, solo dopo quella verifica, non si possono utilizzare le loro conversazioni. Così di fatto si è legittimato l’ascolto delle intercettazioni tra avvocato e assistito. Questo è un fatto indegno di un Paese democratico. Noi dovremmo avere una magistratura che non sostiene una cosa del genere: “prima ascolto poi vedo”. Anche perché questo presuppone che siano sospetti, per definizione, i colloqui tra avvocato e cliente». Per Spigarelli «la tecnica può venirci in soccorso non tanto nello stabilire che gli avvocati non si intercettano, perché pure gli avvocati possono commettere reati, ma per rendere più difficile l’ascolto casuale- che poi spesso è casuale solo a parole - inserendo il numero delle utenze degli avvocati in un database generale per cui, tendenzialmente, non li si intercetta. Poi, ovvio, se l’autorità giudiziaria ha dei sospetti su un avvocato allora si emette un decreto per intercettare proprio quel telefono». Ed infine: «dico la tecnica perché se aspettiamo che facciano qualcosa la politica o la magistratura non faremo passi avanti». Ha replicato il procuratore Albamonte: «su questo tema ci siamo già confrontati con le Camere penali. Non mi sembrerebbe una cosa assurda creare una black list di utenze telefoniche usate per parlare con i clienti che i professionisti della difesa comunicano anticipatamente. Si tratta di un problema di volontà politica. Però, rispetto alla perplessità che questo possa avvenire, ricordo che noi viviamo in un Paese nel quale è stato intercettato il Presidente della Repubblica, ahimè. Anche in quel caso a fronte di una norma che vieta, si è posto un problema che poteva essere risolto dagli stessi magistrati della Procura che lo stavano affrontando e invece si è arrivati alla Corte Costituzionale. Quest’ultima ha dovuto stabilire quale fosse la regola del caso concreto, anche se era una declinazione del principio generale di riservatezza delle comunicazioni. Nondimeno il legislatore non ha avuto il coraggio di rafforzare quella norma. Abbiamo tutta una serie di temi simili a questo: ci sono ancora vicende giudiziarie in corso che hanno occupato il tempo dei magistrati e dei difensori ma altresì quello dell’opinione pubblica su se fosse o meno casuale l’intercettazione di un parlamentare. Anche in quel caso, rispetto ad un problema così annoso che riguarda direttamente la classe politica, non si è avuto il coraggio di mettere mano ad una disciplina. Oltre che per gli avvocati si potrebbe creare anche una black list con i cellulari dei parlamentari da non intercettare». In definitiva per Albamonte non «sembra che la politica voglia affrontare questi temi. Si pensa forse che si tratti di questioni impopolari, che il tema delle conversazioni tra difensori e assistito possa aprire un vaso di pandora rispetto al quale non si esce più fuori. E tutto questo Nordio non lo sa». Spigarelli si è ripreso il microfono per precisare che «ai tempi dell’intercettazione del Capo dello Stato diversi magistrati, soprattutto requirenti, nonché quella parte della politica che intonava lo slogan “intercettateci tutti noi persone perbene perché non abbiamo nulla da nascondere” voleva utilizzare le intercettazioni di Napolitano». Abbiamo affrontato in chiusura anche quanto detto dal professore Sabino Cassese al nostro stand due giorni fa, ossia che non ci può essere una vera indipendenza della politica con i magistrati distaccati a Via Arenula. Albamonte: «direi a Cassese “mettiamoci i medici, i ferramenta o gli ingegneri ad amministrare la Giustizia”. Se alla Sanità ci stanno i medici e all’Istruzione i professori, a via Arenula devono essere i giuristi, tra cui i magistrati. L’idea di Cassese della sostituzione etnica dei magistrati con altri lo accomuna a Gian Domenico Caiazza. Il problema è che non ci siano solo i magistrati: se c’è stata una presenza monopolistica dei magistrati in passato è stato un errore perché la giustizia non è solo dei magistrati, ma anche degli avvocati e degli esponenti della cultura giuridica. Non c’è dubbio che bisogna fare una robusta iniezione di pluralismo». Per Spigarelli invece «una cosa è l’utilizzo fisiologico di una categoria professionale, anzi di appartenenti allo Stato, altra cosa è l’occupazione stabile del ministero, tra l’altro inspirata al manuale Cencelli correntizio. La sedimentazione della magistratura al Ministero della Giustizia è tale che la sola proposta di stabilire un riequilibrio fa scattare questo istinto proprietario da parte della magistratura. E perché? Forse perché è al Ministero della Giustizia che si scrivono le leggi che il Parlamento approva e che poi la magistratura reinterpreta, talvolta anche in maniera creativa. Vogliono il controllo completo della produzione e dell’applicazione delle norme perché hanno una concezione proprietaria della Giustizia, ma così si annulla la separazione dei poteri».