“Ho deciso di diventare prete all'università. Avevo incontrato la Comunità di Sant'Egidio e ne ero stato coinvolto. C'era una passione viva, radicale, spirituale e umana. Dubbi? Certo che sì. Il confronto con la propria debolezza e il peccato c'è sempre. Ma ero in una compagnia, un popolo sacerdotale e di laici molto impegnato. Questo mi ha aiutato molto perché la Chiesa è comunione”. A raccontarlo è il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, in un’intervista a Repubblica.

Si è mai innamorato? “Sicuramente – risponde Zuppi alla domanda del giornalista Michele Brambilla -. Ma ero più innamorato di Gesù. Non ho dovuto lasciare nessuna!”. L'idea che prendere i voti e farsi prete dia una certezza grazie alla vocazione “è una visione sbagliata, purtroppo qualche volta confortata quando abbiamo pensato che la santità significasse un modello perfetto, senza umanità, tanto da essere quasi disumana”. Zuppi spiega che “anche il santo fa una grande fatica a trovare le risposte. Lo leggiamo anche nel Vangelo, che non è elisir di benessere, ma proposta di amore a persone che lo cercano ma ne hanno paura o pensano sia possesso. I discepoli spesso esitano, dubitano, non capiscono, interpretano Gesù con le categorie del mondo. Il Vangelo è un testo molto più umano di come spesso l'abbiamo raccontato. E poi il cardinal Martini diceva: 'Dentro ogni credente c'è un incredulo'”.

La cattiva fama del Vaticano “è un'idea sbagliata. In Vaticano c'è sempre stata una buona norma: chi ci lavora dentro deve lavorare anche in parrocchia. Il cardinal Casaroli tutte le domeniche celebrava la messa nel carcere minorile e conosceva tutti i ragazzi per nome”. Su scandali e conflitti, Zuppi dice che “ci sono stati, certo: ma la Chiesa non è la comunità dei perfetti. È fatta di uomini, e gli uomini sono peccatori. Però il Vaticano non è una banda di mascalzoni. Casta meretrix”. E ancora in merito alle accuse a Wojtyla sul caso Orlandi afferma che sono “inqualificabili. Mi spiace dirlo, ma chi le ha pronunciate così perde credibilità. Certe ricostruzioni forse sono frutto di un cuore ferito. Tanta vicinanza alle ferite: ma queste non giustificano le calunnie”.

E la morte? “La vorrei affrontare da lucido, potendole dire: 'cara sorella morte, vieni, non mi metti paura'. Ci resterà male! Ma non sono sicuro che ci riuscirò. Conosco la mia fragilità”. Il Paradiso, aggiunge, lo immagino “come una comunione piena, un amore che non finisce. La gioia di essere se stessi, senza diaframmi, uniti, una cosa sola con Dio e con il prossimo. Senza più paura”. Lì, prosegue, incontrerà i genitori “e tante altre persone che ho sentito vicine nella sofferenza, quelli che ho incontrato, i compagni di strada, i poveri, i morti della guerra in Ucraina”. Sarà “una festa perché sarà piena di riconciliazione con tutti, immersi in Dio, quel grande mistero di amore che finalmente capiremo pienamente. Ecco, immagino il paradiso così: amare e farsi amare”.