Vi proponiamo l’incipit di “Una vita come la tua”, scritto da Domenico Tomassetti, vincitore della categoria romanzi della prima edizione Premio Letteratura per la giustizia, organizzato dal Cnf, dalla FAi e dal Dubbio.

di Domenico Tomassetti

“Dovrei ricordar mi qualcosa che riguarda noi due? Io e te? Insieme?” chiede Marco, così, quasi all’improvviso, seduto, anzi sdraiato sul divano dell’ampio e soleggiato salone della casa di via Valadier, quartiere Prati. In mano ha il cellulare su cui ogni tanto poggia lo sguardo, distratto. “Così ha detto il medico. L’hai sentito? c’eri pure tu” risponde Andrea, che continua a guardare gli oggetti di quella casa come se fosse la prima volta. Eppure quello è il salone dell’appartamento in cui ha vissuto negli ultimi venticinque anni, quasi la metà della sua vita. “A dire la verità non è che mi ricordi granché” “E meno male che ero io quello con l’amnesia” sorride Andrea. Marco fissa dritto negli occhi il padre per qualche istante. “Io c’ho pensato ed anche parecchio. Ma non mi viene in mente niente… Non abbiamo nemmeno quei ricordi tipo fiction Raiuno sul rapporto padre figlio… Non mi hai insegnato ad andare in bicicletta, non facevamo il bagno insieme al mare, non giocavamo quasi mai a pallone insieme…” “E perché?”“Boh - risponde Marco - Non sembravi molto interessato a queste cose”. “E a cosa ero interessato?” “Al lavoro soprattutto, ma anche a me… a modo tuo” “Che vuol dire “a modo mio?” “Chiedevi, ti informavi” “E tu rispondevi?” “Quando volevo, cioè finché ho voluto…”. Marco si interrompe per rispondere ad un messaggio whatsapp. Andrea si alza dalla poltrona e cammina per il salone, arredato con mobili moderni, alternati con alcuni pezzi di antiquariato. È evidente il gusto femminile.“Così, però, non mi aiuti… e, se permetti, mi sembri anche un po’ ingeneroso” “Con te?”Andrea annuisce, facendo una piccola smorfia con la bocca. “Può darsi. Ma le giornate passano veloci e spesso uno non ha il tempo di ricordare. E neppure di riconoscere meriti a chi ti sta vicino” “Oddio che frasona, in una domenica pomeriggio: l’assoluto dei diciottenni… oppure sei davvero così?” gli chiede Andrea, guardandolo come se lo vedesse per la prima volta. “Così come?”. Marco alza gli occhi dal cellulare. “Così freddo… Anzi, no: così intransigente”. “Non lo so - Marco è ancora concentrato sul cellulare, o forse fa solo finta di esserlo per evitare di guardare in faccia il padre Certo tu e i tuoi casini non aiutate…”.“Io, che c’entro io?”. “Non ti ricordi proprio niente?”. “Non mi ricordo niente prima del risveglio in ospedale. Oppure sono ricordi lontanissimi nel tempo …” Marco lo guarda incredulo. I medici possono fare tutte le diagnosi che vogliono, ma a lui lo sguardo del padre sembra lo stesso che aveva il giorno prima dell’incidente. “Comunque una cosa mela ricordo, me la ricordo bene - aggiunge il ragazzo - il vostro matrimonio. Quante persone possono dire di essere state al matrimonio dei loro genitori? Io mi ricordo tutto: la chiesa, il pranzo, gli invitati, i nonni che mi hanno tenuto con loro… è stato un giorno felice. O forse ero solo troppo piccolo per capire se lo fosse davvero…”.“Hai visto che qualcosa di memorabile c’era?”. Marco si mette a sedere sul divano e, finalmente, appoggia l’iphone sul tavolino davanti a lui. “Un volta, credo in seconda elementare, comunque ero piccolo, la maestra ci fece raccontare il giorno più importante della nostra vita…”.“Che domanda è? - lo interrompe Andrea - Si può chiedere ad un bambino di sette anni quale sia stato il giorno più importante della sua vita? Io sono arrivato a 55 anni e non me ne ricordo uno”. “Eccola qua l’ironia del cazzo, adesso sì che ti riconosco! Bravo, stai tornando in te … e, comunque, di anni ne hai 54”.Andrea sorride al figlio: “Almeno avevo il senso dell’ironia”. “Vabbè, però se proprio dobbiamo fare ‘sta cosa dei ricordi, fammi finire…”.“Si, scusa, hai ragione”. “Insomma a sette anni, a scuola, rispondo alla domanda della maestra e racconto il vostro matrimonio. All’inizio gli altri bambini non capiscono, poi succede il finimondo… Una bambina, quanto riescono ad essere stronze le donne fin da piccole…”. Mentre fa quel commento, Marco guarda il cellulare che sembra stranamente tacere. “Perché guardi il telefono mentre dici che le donne sono str…ane?”Marco sorride sinceramente “Mi fai finire ‘sta storia? Sono tre giorni che penso a cosa raccontarti…”.“Ok, ok… c’era questa bambina particolare”. “Stronza - ribadisce Marco con decisione - Proprio stronza… Davanti a tutta la classe, dice che se vi eravate sposati solo dopo quattro anni che ero nato io, voleva dire che non vi volevate bene, che l’avevate fatto per mettere a posto le cose…”.“Scusa, ma ‘sta ragazzina era ripetente? Non si possono pensare queste cose a soli sette anni!”. “Aveva solo sette anni”. “Davvero stronza” commenta Andrea “E la maestra?”. “Boh, chi se lo ricorda… Comunque era donna pure la maestra …”.“Non ti ha risposto al messaggio, vero?” chiede Andrea sorridendo. Marco prende in mano il cellulare. “No… ma tu che ne sai?” “Beh tutta questa misoginia …”