Copertina azzurra e titolo secco. Se lo avvistate sugli scaffali, quello è il nuovo libro di Francesco Zani: “Parlami”. Il “buona la prima” di uno scrittore esordiente, che Fazi Editore ha lanciato in libreria dal 21 febbraio (ma certo, lo trovate anche online).

Ne avevamo bisogno? Sì. Di che parla? Di un bambino speciale, di nostalgia, delle famiglie che si dissolvono invece di cadere in pezzi. Come in un paesaggio intimo e desolato di Luigi Ghirri, di cui l’autore (Cesenatico di nascita, classe ‘91) ripesca la malinconia della Riviera per incorniciarla nella scrittura.

Per farsi un’idea bisogna partire da quel bambino. Che si chiama Gullit, e non parla con nessuno. La gente gli piace poco, la scuola anche meno. E Gullit non è neanche il suo vero nome: glielo ha appiccicato suo fratello più grande, l’unico con cui Alessandro si degna di scambiare qualche parola. L’appellativo in prestito dal calciatore del Milan è il sigillo di un patto: chi nasce prima ha il vantaggio di imporre il vezzo, chi nasce dopo ha il privilegio di sapere sempre su chi contare. Per loro due è cosi, anche se la mamma si rifiuta di accettare un nome che sostituisce l’anagrafe, anche se il padre si rifiuta di accettare che il secondo figlio non è come lo avrebbe voluto.

Alle spalle hanno l’Adriatico, il lungomare di Cesenatico, che è solo lo sfondo di un progetto più grande: il bagno Beatles, lo stabilimento che il papà - ostinato com’è - vuole far diventare il migliore della riviera. Il più grande, il più redditizio, il più rinomato. A qualunque prezzo, e che prezzo, per tutti: a cominciare dalla mamma, che dopo aver affogato i propri sogni in una bottiglia di vino alla volta ha smesso anche di ricordarseli. Il recinto che stringe il suo spazio è il bancone della cucina. Al figlio grande spettano gli affari correnti. E al papà gli affari di cui è meglio non sapere. Nessuno sembra felice.

A Gullit invece il bagno Beatles piace parecchio: è l’unico posto dove può starsene in pace con le proprie stranezze, senza dare nell’occhio. Il lavoro gli riesce anche bene. Sembra felice, un po’ più degli altri. Perché a differenza degli altri non ha grandi ambizioni, né grandi passioni. Quelle che tutti vogliono per forza infilargli nell’anima, pur tradendo ogni giorno le proprie.

Direte: a chi serve un protagonista che non ha niente da dire. Ebbene, non è poi così vero che a Gullit la gente non piace. Più che altro gli fa fatica. E non è neanche così vero che Gullit non ha gusto per nulla. Tutt’altro: ha un senso della giustizia talmente grande da non saperlo gestire. «Soffrivi per il dolore piccolo, quello minuto che si infilava nella vita delle persone e le scuoteva un poco alla volta, soffrivi per l’infelicità di tutti i giorni. Sapevi di non poterla sconfiggere e nemmeno combattere, per questo ti stendeva». Ma nessuno riesce a capirlo, sono tutti impegnati ad acciuffare l’orizzonte che si allontana ogni giorno. Si sono tutti dimenticati chi sono. Mentre a consumare Gullit è la certezza di non poter essere diverso da sé. Neanche ci prova: se c’è qualcosa da cambiare - suggerisce l’autore - è il modo di stare al mondo, oltre la punta del proprio naso.

Per questo “Parlami” è un piccolo atto d’amore. Un manuale perfetto della famiglia che non sa comunicare, che si disgrega invece di provare a capirsi. Un compendio delle cose più grandi di noi, di quelle che pensavamo di aver dimenticato e che invece stanno lì pronte a scavarci una voragine dentro lo stomaco.