Un allestimento che resista per oltre 35 anni la recensione se la fa da sé. Rumori fuori scena, al Teatro Vittoria fino a domenica 3 novembre, con la storica regia di Attilio Corsini, è un fatto.

Della Compagnia Attori& Tecnici che lo interpretò per la prima volta resta Viviana Toniolo, Direttore artistico del Vittoria e, nello spettacolo, interprete della Signora Clakett. La commedia di Michael Frayn è, pur a distanza di anni, uno dei meccanismi più trascinanti di fronte a cui possa trovarsi uno spettatore. Infallibile congegno di teatro nel teatro, racconta la storia di una compagnia alle prese con un testo difficilissimo da mettere in scena per via delle entrate e uscite degli attori, per un piatto di sardine che un minuto è dentro e un altro è fuori, per una serie di tic con cui l’autore fa il verso e canzona il teatro di boulevard e il vaudeville, e, mentre se ne prende gioco, eleva a potenza la meccanica scenica. La vita degli attori, le loro difficoltà relazionali, il disordine emotivo che domina le loro esistenze diventano bersaglio di ironia, oggetto di sorriso, ma anche di partecipazione umana.

I continui scambi, le interruzioni, gli spostamenti di oggetti, il gioco di equivoci e la velocità di ogni passaggio impongono agli attori un esercizio prodigioso di concentrazione, ascolto e memoria.

Va detto che il Teatro Vittoria, come altri, ha vissuto ultimamente momenti di fatica legati ai fondi ministeriali insufficienti e a un pubblico romano meno numeroso che in passato. Persino Rumori fuori scena, con il suo divertimento intelligente, non sempre arriva a riempire il teatro, mentre un tempo ci riusciva. Se si trova in questa situazione un luogo come il Vittoria, che nonostante il mal di mare, propone una stagione di ottimo livello, ospita appuntamenti con i grandi capolavori nei Tè letterari curati da Marcello Teodonio o il Romaeuropa Festival con lo spettacolo Barzellette di Ascanio Celestini, e organizza per i giovani la rassegna Salviamo i talenti e il Premio Attilio Corsini, diventa urgente interrogarsi da un lato sui criteri di assegnazione del FUS, su cui la discordia regna sovrana, dall’altro sul tema dell’educazione al teatro. Ci sono anche sale piene e qualche spettacolo da tutto esaurito, quindi no, non va tutto male, a luglio la SIAE lo ha certificato, però, certo, potrebbe andare meglio.

35 anni di repliche di Rumori fuori scena. In quanti siete sul palco sin dall’inizio?

Sono rimasta solo io. Allora facevo la vecchietta ed ero giovane, ora sono vecchietta e faccio la vecchietta. C’è però da anni un gruppo storico con Stefano Messina, Carlo Lizzani, Roberto Della Casa, e poi ci sono tre nuove ragazze che si sono inserite molto bene e hanno dato freschezza anche a noi.

Qual è il segreto del testo e del vostro allestimento?

Il testo di Frayn è un capolavoro, un’idea geniale e resterà nella storia del teatro. Il nostro allestimento, che le persone vengono a rivedere nel tempo, è figlio della nostra maniera di fare teatro, basata sulla pulizia, sul ritmo: interpretare e non fare i comici. Essendo uno spettacolo corale, bisogna giocare di squadra.

Uno spettacolo davvero difficile…

Dico sempre ai giovani che è una scuola di teatro. Un attore che reciti in Rumori acquista moltissimo. A volte si perdono delle risate, perché basta un movimento in più. Ognuno ha il suo momento, siamo tutti completamente collegati.

Con Frayn avete un rapporto privilegiato?

Michael ha scritto che il nostro allestimento è quello che, in tutto il mondo, gli ha dato più soddisfazione. Quando Peter Bogdanovich, che ne ha fatto un film di successo, gli ha chiesto dove poter vedere lo spettacolo, che in quel momento facevano dappertutto, Frayn lo ha mandato da noi e Bogdanovich lo ha visto per cinque sere di seguito.

In questi 36 anni di Rumori ve ne saranno successe di tutti i colori… Sì. Il secondo atto è difficilissimo. Entro con i piatti e parlo sempre di sardine. Alla nona replica dello spettacolo mi sentivo finalmente serena, non avevo più paura di sbagliare. Non so come ho sbagliato con le sardine. A ogni battuta della “commedia” corrisponde, per quelli che stanno davanti, una reazione e, avendo io sbagliato con le sardine, gli altri non sapevano più cosa fare. Abbiamo chiuso il sipario e abbiamo detto che c’era un attore che si era sentito male.

Una volta invece che un attore ha avuto davvero un malessere e abbiamo chiesto se ci fosse un medico in sala, non ci hanno creduto, pensavano facesse parte della commedia e si sono messi a ridere

Veniamo al destino del Teatro Vittoria, una delle realtà culturali più amate dai romani. Lei ne è il Direttore artistico e a giugno ha annunciato una “mezza stagione”, sembrava doveste chiudere a dicembre. Qualche giorno fa la presentazione di una stagione completa e ricca. Cosa sta succedendo?

C’è stato tagliato il 25% dei fondi ministeriali. La comunicazione è arrivata a luglio, pensavamo di dover cancellare anche quella programmazione che già avevamo fatto. Abbiamo lanciato un appello, perché qualcuno entrasse in società con noi per aiutarci. Ora dovrebbe arrivare un nuovo socio che ci permetterà di andare avanti. Sono riuscita a costruire il resto della stagione in poche settimane a partire da agosto. C’è da dire che alcuni artisti mi hanno aspettato: ad esempio Marisa Laurito e Anna Mazzamauro.

Perché i teatri fanno tanta fatica?

Mantenere un teatro e una compagnia costa tanto. Quello che arriva dal FUS ( Fondo Unico dello Spettacolo n. d. r) lo restituiamo allo Stato in tasse e contributi. Per mantenere tutto bisognerebbe avere incassi incredibili. Al Vittoria siamo in dieci persone, costrette a lavorare moltissimo, inoltre c’è un affitto da pagare. Se non ci fossero i finanziamenti dello Stato non si riuscirebbe a far nulla, a meno di rinunciare a progetti culturali e di mettersi a noleggiare. Nell’algoritmo del FUS quel che ci ha penalizzato è stata la mancanza delle tournée. Un tempo noi giravamo molto, ma oggi… Questa nuova legge ha fatto danno a tutto il teatro italiano, non soltanto a noi.

Essere un teatro di quartiere vi ha aiutato in qualche modo?

Noi abbiamo abbonati che ci amano e ci sostengono, non solo dal quartiere ma da tutta Roma, però non è sufficiente, perché il costo giornaliero è alto. Il pubblico a Roma è diminuito, diciamo la verità. Fossimo a Milano sarebbe tutta un’altra storia.

Quindi il teatro romano che era così vivace è cambiato…

Moltissimo. Noi un tempo avevamo sempre il pieno, la gente faceva la coda fuori. Adesso è difficile riempire il teatro. La città vive male, ha paura, non so, c’è qualcosa che non va in questa città. E poi la cultura non è protetta. Anche il mancato sostegno di Regione e Comune ci ha penalizzati nell’algoritmo.

Alla luce della fatica per sostenere il teatro che dirige, come si definirebbe?

Coraggiosa.