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Adiacente i Social Media, esattamente Instagram YouTube Facebook Twitter e TikTok, ma più i primi due, Filippo Ceccarelli è lieto di proporre in lettura un libro composto da: un ingresso titubante e preoccupato dall’essere tagliato fuori dalle vicende umane, un soggiorno doppio triplo e quadruplo nello schermo del telefonino e un affaccio su infinite stanze decorate di personaggi, vicende, aneddoti, immagini. A corredo di cotante visioni, un bagno di saggezza analogica e spirituale, che chiude il libro e anche questo annuncio. Perché un annuncio va intonato, e dei più epici e insieme domestici che si possano, per l’impresa eccezionale che in questo caso coincide davvero con l’essere normali di “Lì dentro. Gli italiani nei social”, pubblicato da Feltrinelli e compulsato, ammonticchiato, dipanato da Filippo Ceccarelli. Per chi non lo sapesse, il giornalista capace di affondare il naso nella storia politica e sociale d’Italia come fosse e com’è: una galleria sotterranea e inesauribile di caratteri. Come se nei capricci fotografici e negli aneddoti più minuti, nelle mosse e nelle mise di quello e talaltro potente o povero cristo, negli scampoli delle notizie locali e nelle roboanti mode linguistiche fosse possibile scoperchiare le leggi segrete degli esseri umani, o almeno di quelli italiani. Forza trainante di tale lavoro decennale da geografo o da minatore, raccolto poi in un volume dal titolo di fulminante sconsolatezza - “Invano. Il potere in Italia da De Gasperi a questi qua” -, è una maniacale dedizione all’archivio. Carte, ritagli, frammenti salvati dai giornali per un totale approssimato dal suo editore di prima e di adesso in 334 raccoglitori e 1500 cartelle, “pari a una torre di 45 metri e a due camion”, quelli necessari al trasferimento di tale mostruosa fatica nella Biblioteca della Camera, dove ora riposa in un Fondo a lui dedicato. Chissà se in pace. Il coraggio della costanza, insomma, Ceccarelli l’ha già dimostrato. Ma può bastare, quel coraggio incrollabile, per tentare l’avventura della catalogazione nel mondo dell’insaziabile scrollare, dell’eterno presente, degli infiniti e svolazzanti contenuti dei social media?
Com’è, come non è, Ceccarelli ci s’è immerso. Un assaggio. «Al Bano, panama in testa, canta con un bimbo in braccio, ma quando gli parte l’acuto – “noi siamo quaaaaa!” – il bimbo comincia a piegare la bocca e rompe in un pianto inconsolabile. La foto di un uomo in piedi agli arrivi dell’aeroporto con un enorme cartello dove si legge “Godot”. Di fronte all’emergenza ratti a Roma, l’ex senatore Razzi propone di importare e liberare a Roma 500 mila gatti affamati dal Nord Corea. Eccolo oggi a torso nudo che balla a casa sua con una pentola in testa, due cinghie a X sul torace e una spada: gladiatore. Dice: “A Ballando facevo il picco, ora voglio il Grande Fratello Vip”. Dal portale Puglia Reporter: “Bestemmia in barese a Sydney e lo zio emigrato lo riconosce dopo quindici anni”. Guerriglie condominiali. Avviso sulla porta dell’ascensore: “Costretti dalle continue lamentele di gran parte dei condomini dobbiamo ricordare che i luoghi adatti per manifestare i propri gas corporali sono il bagno o all’aria aperta, non certo l’ascensore del palazzo… Per una convivenza pacifica e libera da fastidi olfattivi e psicologici Vi preghiamo di rispettare i diritti degli altri”, firmato l’amministratore. Più sotto appiccicato con lo scotch un foglietto a quadretti che dice: “Non mi prenderete mai”, firmato “lo scoreggione”. Su un lenzuolo appeso a una cancellata: “Se non ce la faremo ce la faromolo”». E ancora, le liti tra influencer a suon di “Voi diventà famoso? Purtroppo personaggi ci si nasce, non ci si diventa”, le magnate illimitate riprese da ogni angolazione di novelli Gargantua, pagine su pagine dedicate agli autobus flambé, alle cascate di prosciutto dei matrimoni anni 80, alle scritte sui muri, Ken umani e parrucchieri guru, balletti, acconciature e un'ordalia di personaggi, il ragazzo di Arte Povera e Wanna Marchi, le Bimbe di Conte e Gaetanino, Mario Magnotta e Barbara D’Urso. Una sbornia in piena regola. Ma qual è il contravveleno e quale l’interesse di una caduta inarrestabile nell’osceno, triviale, buffo spettacolo che diamo o a cui assistiamo giorno dopo giorno sui telefonini? Che Ceccarelli fa risaltare il presente sul passato, ricerca le analogie tra l’inezia e il colossale e tira, tira le fila di tutto il pandemonio social indietro nel tempo, nella sua storia familiare e insieme in quella nazionale. Il figlio trentacinquenne a fargli da nocchiero, con un botta e risposta di link, ritrovamenti, screenshot - che è oramai la grammatica di tanto dell’affetto come riusciamo a coltivarlo oggigiorno. E con il babbo e il nonno come garanti di una curiosità ancestrale verso le vite degli altri, che ci riguarda tutti perché è capace quando la lasciamo scivolare di farci chiedere cosa c’è dietro la ferocia e il nichilismo, di farci ridere del niente e provare pietà per chi siamo diventati e siamo forse sempre stati, di farci conoscere e non moralizzare, di farci innamorare della pornografia e denudare tutti i sentimenti. Lo dice meglio lui: «Chi cerca trova e i cocci sono suoi. Ma non c’è giorno che non abbia provato a raccoglierli nella ciotolona della coscienza rimestandovi la fine del segreto e del rispetto, la rinuncia del pudore, il fascino della crudeltà guardona, il linguaggio che degrada, lo sguardo sporco, la libertà in caduta libera. Per arrestarmi, ma solo per un attimo, dinanzi alla pietà, tanto più potente quanto più inconsapevole». L’impresa eccezionale che rimane in questo libro è allora il tentativo riuscito e benevolente sotto i baffi che ridacchiano di non dimenticare quello che ci è successo appena l’altro ieri e di farci riavvicinare. Spudorati, ingenui, divertenti, farabutti, disperati come siamo.