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Quello di Massimo Borghesi sull’attuale pontefice si rivela un libro più che necessario, utile a sgombrare il campo dai tanti, troppi, equivoci che aleggiano – messi in circolo per ragioni strumentali – sulla figura e il ruolo di papa Francesco. Con Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale ( Jaca Book, pp. 300, euro 20,00) l’autore, ordinario di Filosofia morale a Perugia, attraverso una notevole capacità di accesso alle fonti e di straordinaria connessione interpretativa, offre il primo sistematico approfondimento del background culturale e filosofico del pensiero del Papa argentino. Sinora, come annota nella premessa Guzmàn Carriquiry Lecour, vicepresidente della Pontificia commissione per l’America Latina, la scarsità di riferimenti relativi alla biografia intellettuale di Bergoglio, «è dovuta, in primo luogo, allo stesso papa Francesco, che non ama ostentare le proprie doti e qualità al riguardo e, certamente, non gradirebbe la qualifica di intellettuale». È un fatto che l’attuale pontefice non ami gli intellettualismi astratti e che nella sua «grammatica della semplicità» preferisca una comunicazione diretta e che possa raggiungere il cuore di tutti. Ma questo aspetto, uno dei suoi punti di forza, è stato purtroppo strumentalizzato dai suoi avversari, i quali tendono a sottolineare – addirittura – una presunta assenza di pensiero, teologico e filosofico, nella sua azione pastorale. Niente di più errato, però, alla luce di tutto il percorso di pensiero che Borghesi ricostruisce in tutte le sue fasi e “incontri” intellettuali.
L’ex provinciale dei gesuiti, divenuto poi cardinale di Buenos Aires e, infine, Papa è stato infatti professore di filosofia, di teologia e anche di letteratura. Dai suoi scritti emerge, inoltre, un pensiero complesso ed elaborato, la sua interlocuzione con pensatori latino- americani ed europei è indiscutibile. Ma tutto questo versante, centrale e strategico, della sua personalità non ha sinora riscontrato l’attenzione che meritava e merita. «Al contrario – sottolinea Borghesi – proliferano i critici, i teologi dell’ultima ora, coloro che deducono la visione del Papa dagli articoli di giornale». Due le obiezioni, in particolare, che ritornano insinuate con disarmante monotonia dai suoi detrattori. La prima, seconda cui Francesco sarebbe un populista, un peronista argentino, privo delle categorie capaci di sintonizzarsi col pensiero egemonico liberale e occidentale. La seconda, ancora più pericolosa, secondo cui l’attuale Papa non avrebbe la preparazione, filosofica e teologica, per rivestire il ruolo petrino. I due pregiudizi si mescolano, all’interno della vulgata mediatica antibergogliana, nella presunzione occidentalista che ciò che proviene dall’America Latina non sia all’altezza dei “maturi” parametri dell’Occidente. «È plausibile – ha scritto, per tutti, il politologo Angelo Panebianco – che in un Paese di capitalismo maturo qual è, nonostante tutto, l’Italia, non siano pochi, anche fra i cattolici, quelli che dissentono da Bergoglio in materia di lavoro e di profitto o che, per fare un altro esempio, non credono che le guerre contemporanee siano solo il frutto del desiderio di guadagno di avidi capitalisti». Toni perentori e di chiusura, di cui ci siamo abituati in questi quattro anni di pontificato, che provengono in prima battuta da chi si riconosce nel pensiero dominante occidentalista, capitalista e liberista, e che vede nel papa argentino – sottolinea Borghesi – «un freno al pensiero unico che ha dominato nell’era della globalizzazione: il Pontefice è un avversario e come tale va trattato». A questi critici vanno sommati gli ambienti teocon, diffusi nel cattolicesimo Usa e in certi settori europei cosiddetti tradizionalisti, i quali si riconoscono paradossalmente nello stesso giudizio dei liberal laicisti. Ciò che sorprende in tutto questo fronte è però l’assoluta mancanza di documentazione e di approfondimento, come se l’attuale Pontefice non avesse un suo significativo e complesso retroterra culturale, né una esperienza ecclesiale degna di essere adegua- tamente rilevata e interpretata in tutte le sue implicazioni intellettuali. A dimostrare quindi, l’inconsistenza di questa vulgata, Borghesi segue sin dall’inizio tutto l’itinerario di pensiero di Jorge Mario Bergoglio, attraverso le sue letture, i suoi autori di riferimento, i suoi studi, i suoi scritti. Il lavoro, inoltre, si giova di quattro registrazioni audio di eccezionale importanza che papa Francesco ha trasmesso a Borghesi in risposta a una serie di domande fattegli pervenire. Il Papa, con le sue risposte, sottolinea una serie di punti essenziali della sua formazione e del suo itinerario di pensiero, diversamente difficilmente intuibili. Chiarisce, in particolare, la genesi della sua visione, nel corso degli anni 60, a partire dalle sue letture delle interpretazioni degli Esercizi di Ignazio di Loyola, dalla confessione dei suoi debiti intellettuali verso pensatori latino- americani come Amelia Podetti e Alberto Methol Ferré, dal suo incontro con la filosofia dell’italo- tedesco Romano Guardini, autore accademicamente studiato da Bergoglio.
Numerosi i nomi che scorrono nel saggio di Borghesi, da Hans Urs von Balthasar a Henri de Lubac, da Adam Mohler a Erich Przywara, da Gaston Fessard a Augusto Del Noce, da Michel de Certau a Luigi Giussani, da Agostino a Tommaso sino a Pierre Favre, il gesuita cinquecentesco amico e sodale di Ignazio. Su tutti, fondamentale l’influenza del filosofo uruguayano Alberto Methol Ferré, il più geniale intellettuale cattolico latinoamericano della seconda metà del ’ 900.
Sulla scorta delle riflessioni di Methol Ferrè, Bergoglio ha lavorato intellettualmente – si legge nel testo di Borghesi – «per una sintesi degli opposti che dilaceravano la realtà storica. Non una sintesi “equidistante”, né una mera soluzione “centrista”, ma un tentativo teoretico pratico di suggerire una unità antinomica, 70 argentini, divisi tra terrorismo rivoluzionario e feroce dittatura militare, la posizione politica di Bergoglio ha simpatia per il peronismo ma non né accetta le derive di “teologia politica” né il tentativo di limitare la libertà della Chiesa. Ciò che gli interessa nel peronismo è il tentativo democratico di fare una politica per il popolo, sulla scia delle suggestioni della pensatrice argentina Amalia Podetti. Dal padre domenicano Yves Congar, inoltre, Bergoglio eredita un’idea di riforma della Chiesa che però valorizza in pieno la tradizione. Senza adorazione eucaristica, rispetto del magistero e del suo insegnamento, senza i santi, non vi è e non vi sarà mai – è il suo pensiero – una vera riforma cattolica della Chiesa. «Dietro – scrive ancora Boghesi – c’è un pensiero che Bergoglio ha sviluppato, dalla metà degli anni 70, nutrendosi di un filone cattolico- dialettico che si nutre di autori gesuiti e, posteriormente, della “filosofia polare” di Romano Guardini». Il quale – e qui salta lo schema della presunta contrapposizione tra Ratzinger e Bergoglio, cara ai soliti detrattori – si rivela come l’autore centrale di tre pontefici: Paolo VI, Benedetto XVI e, appunto, Francesco. Tutta la riflessione di papa Francesco è infatti – mediata dalla lezione di Guardini – un pensiero della riconciliazione: non un pensiero – come sottolineano i suoi detrattori parlando di “buonismo” – irenistico, ottimistico, banalmente progressista, ma, al contrario, «un pensiero drammatico, tensionante… impegno indefesso per il mondo, croce e resurrezione». Vale la pena riportare la conclusione di tutto il libro di Borghesi, che centra al meglio la missione di Francesco: «La Chiesa torna, una volta ancora, a essere complexio oppositorum, l’unica realtà, a livello mondiale, che si propone come luogo di riconciliazione in un momento storico in cui, a fronte del fallimento della globalizzazione, tornano i grandi contrasti e le chiusure dei popoli».