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È stata all’ultimo Festival di Cannes come presidente di giuria ed alla Mostra di Venezia in qualità di testimonial Armani. Ha sfoggiato delle mise da sogno con un’eleganza invisibile e impeccabile. Di Cate Blanchett, attrice australiana vincitrice di due premi Oscar non ci si stanca mai. Lo sa bene la Festa del Cinema di Roma che pur di averla, la fa sdoppiare per ben due occasioni: l’Incontro Ravvicinato sul palco della Sala Petrassi a conversare del cinema che ama con il direttore artistico Antonio Monda e nella delegazione del nuovo film fantasy di Eli Roth, Il Mistero della Casa del Tempo. Sul suo successo e sui premi l’attrice commenta con la sua solita saggezza e umiltà: “Quando arrivi alla mia età e hai la fortuna di aver vinto dei premi, non vuol dire che li meriti, ognuno si concentra sui successi, ma penso che ciò che ti renda indomito sia concentrarti sui tuoi fallimenti, e io ne ho avuti a migliaia personalmente e professionalmente e mi hanno insegnato molto di più sul non mollare e non ripetere gli stessi errori. Il successo non ti aiuta, sono sempre gli errori quelli che ti fanno andare avanti. La sfida di un attore è quella di sviluppare una scorza molto dura per rispondere alle critiche, che possono essere brutali, ma si deve restare profondamente sensibili. Devi mantenere le due anime: essere coraggioso e saper stare zitto”. Il Mistero della Casa del tempo, parlando di tre orfani, si offre come occasione naturale per far uscire la doppia anima della Blanchett, attrice e madre felice di quattro figli di cui una adottata: “Contrariamente a quello che si crede, non penso a me come attrice se creo un ruolo, non sono così interessante, per me recitare è un processo di empatia perchè conosci un’altra realtà” dichiara l’attrice e prosegue: “il film parla comunque di tre orfani, tre persone abbandonate che devono trovare la loro forza nella famiglia. Le famiglie si formano in tantissimi modi, anche se molte non sono riconosciute. Io amo tantissimo mia figlia adottiva e i miei tre figli naturali”. Interpreta una maga nel film di Eli Roth e in piena atmosfera fantastica, si spinge ad immaginare il superpotere che vorremmo possedere: “Vorrei avere il potere di far registrare tutti i maggiorenni americani per le elezioni del Mid-Term” dice fermamente e prosegue: “vengo da un paese in cui votare è obbligatorio, non so perché il resto del mondo non può votare negli USA, ma sì vorrei avere questo potere!”. Intanto nel secondo giorno di Festa, a far da contrappunto ad un film fantasy come Il Mistero della Casa del Tempo, c’è Il Vizio della Speranza di Edoardo De Angelis, scandito da una frase che rimane nella testa insieme a molte altre che definiscono il film: “A me non mi uccide nessuno”. La pronuncia Maria, la protagonista del film e di questa storia, dal volto e l’anima di Pina Turco, consorte del regista al suo secondo ruolo importante dopo La Parrucchiera di Stefano Incerti. Maria non può morire né essere uccisa perché non ha mai veramente vissuto. La sua esistenza è quella di una traghettatrice di anime perse, una caronte di donne disperate costrette a partorire i propri figli per darli in vendita a genitori, forse migliori, in grado di garantire un’esistenza diversa da quella in cui ci si lascia vivere. Maria ( Pina Turco) da schiava del business messo in piedi da una spietata “zia” interpretata da una geniale e iper ingioiellata Marina Confalone, però si ritrova ad ammalarsi di speranza, in un posto dove non c’è spazio per pensare a fare una vita diversa, non c’è spazio per gli esseri umani nonostante le luci di Natale appese fuori alle case fatiscenti, umide e gelide che si affacciano sul mare paludoso di Castel Volturno (dove De Angelis aveva ambientato già Indivisibili). Della speranza parla subito Pina Turco che dichiara: ““La speranza è il seme di ogni rivoluzione, poi diventa fiducia e fede e con questa si può riscrivere il proprio destino e la speranza di Maria è la nascita di un figlio, la cosa più semplice e miracolosa”. E sempre sulla speranza De Angelis scrive: “Il desiderio è un sentimento semplice che genera una faccenda complessa e viziosa come la speranza. Per molti è la resa definitiva, per qualcuno è la pietra miliare della salvezza”. Come in Indivisibili, anche qui i protagonisti si dimenano per trovare una via di uscita anche se sembra costantemente che non ci siano strade per uscire da quel mondo. “Siete tutti fissati con questa libertà ma è così bella la schiavitù, le regole, le punizioni” protesta in napoletano la perfida zia mentre bacchetta una Maria scalciante di umanità e pronta a rischiare tutto per far nascere la vita che alberga in lei. Afferma de Angelis: “E’ un film sulla resistenza umana. Ho immaginato un inverno dove tutto sembra morto e noi accendiamo un fuoco e aspettiamo che passi: una forma di resistenza. Nel film vince chi resiste all’inverno, ha la pazienza di aspettare che qualcosa cambi. Ma per farlo bisogna agire”. In una infernale Castel Volturno fatta di neon e decadenza, De Angelis non lascia niente al caso ma tutto segue un disegno previsto. Non manca mai la musica fatta da cori in dialetto e percussioni che accompagnano il difficile compito affidato a Maria. A ricordarci sempre lo stato d’animo dei personaggi, la voce di Enzo Avitabile che dopo la collaborazione su Indivisibili che gli è valsa molti premi, torna a dar voce ai sentimenti dei protagonisti del film, cantando “é na jastemma sta parol ammor - è una bestemmia questa parola amore”. Come Indivisibili, Il Vizio della Speranza divide la critica ma conferma De Angelis come un artista capace di generare passionali reazioni nel suo pubblico.