Rifiutata dal suo Paese e accolta dai talebani. È una vicenda triste e paradossale quella di Charlotte Bellis, una giornalista neozelandese incinta che non può tornare a casa per via delle rigidissime norme anti-Covid disposte dal governo di Wellington. Reporter di al Jazeera, Bellis è stata costretta a lasciare il Qatar, dove era residente, a causa delle leggi che vietano di compiere atti sessuali fuori dal matrimonio, figuriamoci di avere figli (non è sposata con il compagno e padre del futuro bambino, un fotografo belga). Così per un po’ di tempo ha tenuto nascosta la gravidanza e poi ha deciso di rientrare in Nuova Zelanda per partorire: ma le autorità le hanno fatto sapere che semplicemente non poteva farlo; avrebbe infatti dovuto seguire i protocolli di quarantena, due settimane chiusa in un hotel gestito dai militari. Dal marzo del 2020 linea seguita da Wellington è la stessa dei vicini australiani: ossia “zero covid” e regole draconiane per chiunque voglia entrare. In due anni i cittadini neozelandesi residenti all’estero per motivi di lavoro sono stati accolti con il contagocce, mentre la gran parte di loro si è dovuta arrangiare. Bellis afferma di aver inoltrato «59 domande per ottenere un lasciapassare d’emergenza», ottenendo altrettanti rifiuti. A quel punto la coppia ha deciso di andare in un Paese che conosceva bene, l’unico peraltro per il quale possedeva dei visti validi: l’Afghanistan dei talebani dove avevano lavorato come inviati, l’ultima volta la scorsa estate quando hanno seguito la trionfale avanzata verso Kabul degli studenti coranici oggi di nuovo signori del Paese. E, contro ogni aspettativa, i talebani si sono dimostrati decisamente più aperti del Qatar (ma anche della Nuova Zelanda) e hanno accolto con piacere la richiesta di Bellis e del suo compagno: «Siamo felici di ospitarvi e di far nascere vostro figlio in uno dei nostri ospedali, da noi non avete nulla da temere», la risposta entusiasta di uno dei portavoce del movimento islamista. Per i talebani, in cerca di legittimazione interazionale e desiderosi di uscire dall’isolamento diplomatico, la disavventura della giornalista è infatti una lauta occasione per ritagliarsi un’immagine moderata, lontana dai brutali racconti fatti di esecuzioni sommarie per gli oppositori e lapidazioni per le donne “infedeli”. «Se i talebani offrono asilo e assistenza a una donna incinta e non sposata mentre il tuo Paese ti chiude la porta in faccia vuol dire che non stai messa molto bene», si è lamentata Bellis in un’intervista rilasciata da Kabul al New Zeeland Herald. La reporter, tuttavia, non ha ancora perso la speranza e tramite i suoi avvocati ha scritto l’ennesimo ricorso per poter ottenere la deroga e rientrare finalmente a Christchucrh, la città dove vive la sua famiglia, Il suo dossier, che non fa certo onore al governo, è finito sul tavolo di Chris Hipkins, il superministro incaricato di seguire l’emergenza Covid, il quale ha lasciato comunque la porta ancora socchiusa: «A prima vista il caso della signorina Bellis merita qualche indagine supplementare», ha commentato laconico sul suo account Twitter.