Rimane in carcere l’imprenditore filantropo e attivista dei diritti umani Osman Kavala, dietro le sbarre in Turchia da 1.438 giorni. Sulla sua testa pende l’accusa di tentata eversione dell’ordine costituzionale per gli scontri avvenuti per il parco Gezi nel 2013, quando migliaia di attivisti, giovani e semplici cittadini scesero in piazza per difendere l’area verde nel centro di Istanbul che il governo di Erdogan voleva smantellare per avviare la costruzione di un enorme centro commerciale. Così hanno deciso i giudici nell’udienza di ieri mattina del processo che insieme a Kavala vede imputati altre 15 persone tra attivisti per i diritti umani e avvocati difensori.

Assieme a loro sono alla sbarre anche 35 membri della tifoseria della squadra di calcio del Besiktas, identificati sempre nei giorni degli scontri del giugno 2013. Lo scorso 10 dicembre la Corte europea dei diritti umani aveva dichiarato illegittima la detenzione di Kavala, rilevando violazioni dei diritti del filantropo e chiedendone la scarcerazione, mai avvenuta.

A giugno una procedura di infrazione nei confronti della Turchia è partita presso la stessa corte su richiesta del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. Ankara ha ritenuto e continua a non ritenere vincolante la decisione della corte con sede a Strasburgo, che aveva accolto le richieste degli avvocati del filantropo.

Kavala è il fondatore dell’organizzazione Anadolu Kultur, da sempre impegnato nella promozione di arte, cultura e lotta alla violazione dei diritti dell’uomo, da anni un interlocutore delle istituzioni europee. Era stato rinviato a giudizio con una richiesta di ergastolo per le proteste del 2013 per il parco Gezi, che secondo il pubblico ministero puntavano a rovesciare il governo del “aultano” Erdogan e avrebbero violato l'articolo 309 del codice penale che persegue i «tentativi di abolire, sostituire o impedire l'attuazione, con la forza e la violenza, dell'ordine costituzionale della Repubblica di Turchia».

Peraltro il 18 febbraio 2020 la stessa corte di Istanbul aveva ordinato la liberazione di Kavala che avrebbe dovuto attendere il processo a piede libero.. Scarcerazione mai avvenuta a causa di un appello presentato dall’accusa e accolto il giorno dopo, quando un secondo ordine di detenzione fu emesso nei confronti del filantropo. Insomma, Kavala deve restare in prigione perché così vuole il regime.

Gli altri 15 imputati, nessuno dei quali è attualmente in carcere, rischiano invece pene comprese tra i 15 e i 20 anni, tra questi figurano diversi attivisti, oppositori politici gli immancabili e avvocati penalisti, tra i principali bersagli nell’ondata di repressione che da anni flagella la ormai moribonda democrazia turca.