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Nell’intrico di bunker e labirinti migliaia di civili asserragliati, con loro e all’esterno gli ultimi difensori di Mariupol (1500 uomini secondo la Russia, almeno il doppio sostiene Kiev). Si preparano all’offensiva finale delle truppe di Mosca e non vogliono arrendersi, questo nonostante l’ultimatum dei russi che promettono di radere tutto al suolo se non usciranno allo scoperto disarmati. Anche perché pensare di espugnare la struttura con la sola fanteria è praticamente impossibile se non a costo di perdite enormi, bisognerebbe combattere metro per metro contro avversari irriducibili che conoscono a menadito il campo di battaglia e che sono disposti a morire sul fronte come Leonida e i suoi “trecento” alle Termopili. Lo spirito è quello. La scorsa settimana ci avevano provato i miliziani ceceni filorussi di Ramzan Kadyrov ma sono stati respinti senza grandi sforzi. Ora è arrivata la cavalleria. I russi promettono anche di risparmiare i civili in caso di resa, ma in molti temono deportazioni e rappresaglie nei confronti dei familiari dei soldati che non hanno sotterrato il fucile. Insomma, ci sono tutti gli elementi per un tragico epilogo. Gli stabilimenti delle acciaierie Azovstal, un tempo simbolo della classe operaia sovietica, non sono infatti quattro capannoni abbandonati nel nulla o un Fort Alamo qualsiasi, ma una delle più grandi fabbriche metallurgiche di Europa che sorge su un’area vastissima, di oltre 11 chilometri quadrati disseminati di altoforni, ciminiere, tubi di acciaio, snodi ferroviari, con decine di chilometri di tunnel e cunicoli sotterranei costruiti dall’Urss durante la Guerra Fredda come rifugi anti-nucleari per la popolazione, Il teatro ideale per una guerriglia che in cui i russi non hanno alcuna intenzione di infognarsi. La tecnica che vogliono mettere in campo è tutt’altra, la stessa impiegata nella sanguinosa battaglia di Aleppo in Siria: stanare il nemico lanciando le micidiali “bunnker buster”, bombe di grande potenza che esplodono decine di metri sotto il suolo. Ma anche in questo caso ci vorrebbero settimane considerando l’ampiezza dell’area e il numero incalcolabile di nascondigli. L’unico metodo sicuro per stanare i resistenti, spiega al quotidiano britannico The Guardian l’analista militare ucraino Oleg Zhdanov, sarebbe un attacco con armi chimiche e batteriologiche, tassativamente proibito da tutte le Convenzioni internazionali. Qualcosa nello stile del raid al teatro Dubrovka di Mosca del 2002, ma in larga scala, Qualcosa di inimmaginabile e che entrerebbe nei libri di storia.O in alternativa si potrebbe prolungare l’assedio aspettando che finiscano le razioni di cibo, acqua medicinali e munizioni ma nessuno sa quante scorte hanno a disposizione i resistenti nei 1500 ettari che controllano e che si preparano a difendere dall’inizio dell’invasione russa. Potrebbero servire settimane se non mesi per venirne a capo della resistenza mentre Vladimir Putin vuole mostrare ai russi lo scalpo di Mariupol in tempo per la parata militare del nove maggio sulla Piazza rossa che celebra la vittoria dell’Urss sulla Germania nazista. Di sicuro dall’area di Azovstal non c’è alcuna via d’uscita per gli assediati, circondati e tagliati fuori dalla soverchiante forza numerica dell’armata russa che ha completamente isolato l’area metropolitana rendendo impossibile l’accesso all’esercito di Kiev,A difendere l’ultimo bastione della città, non ci sono però soltanto gli estremisti fanatici del battaglione Azov come ripete martellante la propaganda del Cremlino, argomento supremo della “de-nazificazione” dell’Ucraina garantita dallo “zar” e pretestuoso gancio dialettico dei suoi (tanti) ammiratori occidentali. Per esempio non fanno certamente parte di Azov i soldati della trentaseiesima brigata di fanteria marina che lunedì scorso hanno scritto una drammatica lettera a Papa Bergoglio raccontando «l’inferno in terra» di Mariupol». E neppure i militari della guardia nazionale, o i volontari stranieri che si battono a fianco di quel che resta dei reggimenti regolari. Combattono e resistono perché quella è casa loro, perché non si fidano degli invasori e delle loro promesse, perché negli occhi hanno gli orrori di Bucha.