Alla fine il Gran Jury di Manhattan ha deciso di rinviare la decisione, rimandando ancora una volta l’udienza sulla possibile incriminazione di Donald Trump per il caso “Stormy Daniels” la pornostar che il tycoon avrebbe pagato 130mila dollari per farla tacere sulla loro relazione.

Dalla procura dicono che il rinvio è una questione puramente formale, tecnica e di procedure, ma non ci vuole un grande intuito per capire come le intemperanze di Trump, che chiama i suoi sostenitori a scendere in piazza per contestare i giudici newyorkesi, abbiano influito sul rinvio.

L‘ex presidente si è esibito in un piccolo show, chiedendo, nel caso venisse incriminato, di essere portato in tribunale «in manette, come qualsiasi cittadino americano». Fedele al suo personaggio prima aveva annunciato che sarebbe stato arrestato martedì scorso, poi ha aizzato i suoi seguaci creando uno stato di tensione per il pericolo di manifestazioni violente e ora assicura che in nessun caso rinuncia a presentarsi in tribunale.

La sua intenzione dunque e quella di trasformare il caso in uno spettacolo per fomentare la sua base elettorale (si è candidato ancora una volta per le presidenziali del 2o24) e cogliere l’occasione di mostrarsi come vittima di una persecuzione politica anche a rischio di affrontare pericoli personali. Ai suoi consiglieri e agli avvocati del team di difesa Trump continua a dire che non teme per la sua vita, che non cederà alla paura di un possibile attentato. Anzi in questa malaugurata ipotesi si augura di diventare un martire. Sicuramente questa avventatezza cela un calcolo politico perché con l'aura del perseguitato lui stesso ha affermato che vincerebbe di sicuro le prossime elezioni. E così Trump mostrerebbe al paese il suo arrivo in tribunale dopo aver espletato la procedura standard delle foto segnaletiche e delle impronte digitali. La sua preoccupazione è quella di non mostrarsi debole, un perdente che godrebbe di un trattamento di favore, come ama ripetere in puro stile hollywoodiano. Un atteggiamento che cozza anche con i vertici del servizio segreto, incaricato di proteggere i presidenti in carica e gli ex, che preferirebbero naturalmente un percorso molto piu riservato. Ma probabilmente Trump la sua forza dovrà esibirla nei confronti di un avversario che non appartiene né ai Dem né alla giustizia, il suo nemico piu pericoloso gioca nella sua stessa squadra e si chiama Ron De Santis. Il governatore della Florida infatti ha rilasciato un'intervista al New York Post nella quale la sua candidatura alla nomination come sfidante di Biden sembra quasi certa anche se non annunciata ufficialmente.

Lo si evince dai colpi sferrati contro l'ex presidente che a sua volta ha comunque avvertito il pericolo e non ha lesinato offese personali appellando De Santis come DeSanctimonius e Ron la polpetta. Il governatore della Florida puo godere di un consenso in forte crescita come dimostrato già nelle elezioni di mid term dove ha drenato la maggioranza del voto indipendente al di là di quello repubblicano.

Ma le stilettate piu forti le ha riservate parlando del caso giudiziario in corso a New York. De Santis infatti si è rifiutato di difendere il tycoon: «In fin dei conti un leader vorrebbe esser visto dalla gente come uno dei Padri fondatori. Non dico che non si possono commettere errori nella vita personale, ma mi chiedo che tipo di personaggio si stia promuovendo al pubblico».

«Per me – ha continuato il governatore – non è importante litigare con la gente sui social media. Guidare un governo non può essere un dramma quotidiano». Naturalmente l'intervista ha scatenato e spaccato i repubblicani la cui maggioranza parlamentare è impegnata a contrastare l'inchiesta del procuratore Alvin Bragg.

In ogni caso la strada per De Santis non e in discesa, la popolarità di Trump e ancora alta fra gli elettori del Gop e i sondaggi, come quello condotto dall’istituto Morning Consult tra il 17 e il 19 marzo, danno l’ex presidente in vantaggio con un consenso del 54% tra gli intervistati, contro il 26 a favore del governatore della Florida.