C’è una sorta di scaricabarile nella vicenda dei rifiuti, tutto a favore di una parte, Virginia Raggi e la sua maggioranza, verso altri, la Regione, i Ministeri, l’Ama. Ma di assunzioni di responsabilità e prese di coscienza degli errori, neanche una. E le strade della Capitale, da 3 anni, vivono invase dai rifiuti con crisi cicliche sempre più lunghe e fra loro ravvicinate senza che dal Campidoglio partano soluzioni che non siano lo sfruttamento di altri. Due numeri per quantificare il problema: ogni anno, a Roma, si produce un milione e 700 mila tonnellate di rifiuti.

Attualmente la percentuale di raccolta differenziata è sostanzialmente ferma da oltre 2 anni al 45% circa. Quando la Raggi è diventata sindaco eravamo al 42%. Tradotto: ogni giorno in città si producono 3000 tonnellate di rifiuti indifferenziati. Il rifiuto indifferenziato va lavorato: diviso fra secco e umido, il secco va ridotto in balle bruciabili, l’umido deve rimanere almeno 30 giorni fermo in un sito ( fossa organica) dove perde i liquidi ( stabilizzazione) e poi può essere spedito per la lavorazione finale. I rifiuti differenziati, invece, dovrebbero andare alle lavorazioni che recuperano la materia prima per poi reimmetterla nel circuito produttivo.

Economicamente, a Roma, la stima è che ogni punto percentuale di differenziata in più costi circa 10 milioni di euro, fra operai, mezzi e altro. Ultimo dato, con l’esclusione di Venezia ( che però ha una particolarissima situazione orografica) Roma è la città con la più alta tariffa rifiuti: quasi 260 euro annui a cittadino. Eppure, da quando nel 2013 l’allora sindaco Ignazio Marino chiuse la discarica di Malagrotta senza avere nessuna alternativa pronta, Roma vive periodiche crisi cicliche dei rifiuti, sempre più lunghe, sempre più ravvicinate fra loro nel tempo e sempre più diffuse nelle aree della città e gigantesche per dimensioni del fenomeno.

Da 3 anni i 5Stelle governano la città con un programma elettorale basato sui concetti di “differenziata” e “zero waste”, due temi buoni per l’università della vita e certo non nel mondo reale.

Il sindaco di Roma, Virginia Raggi, sabato 28 settembre, va ad un incontro pubblico e si lascia andare: sui rifiuti “io sono stata lasciata sola”, dice. E si lancia in una lunghissima ricostruzione totalmente autoassolutoria in cui non c’è traccia né di critica a se stessa, agli assessori che saltano come tappi di champagne ( siamo a tre assessori all’Ambiente, Paola Muraro, Pinuccia Montanari e ora Laura Fiorini che si occupa solo di verde, i rifiuti sono in capo alla Raggi stessa), ai management di Ama, la municipalizzata dei rifiuti, che durano meno dei terzini della As Roma ( Alessandro Solidoro, Lorenzo Bina, Antonella Giglio, Lorenzo Bagnacani e, ora, Luisa Melara già in potenziale uscita), e, soprattutto, ai no costanti e ripetuti alla necessità di dotare Roma di impianti di trattamento e smaltimento che la rendano autonoma, l’ultimo, pochi giorni fa, l’ 11 settembre a Corcolle indicato come un potenziale sito per una discarica di servizio, la Raggi stessa disse: “Il comune è per il no, non è questo il territorio in cui può essere aperta un'altra discarica”.

La versione della Raggi sembra sottintendere l’esistenza di un complotto, dopo quello dei frigoriferi e dei forni, questo più subdolo, mafioso: “Hanno incendiato l’impianto di Trattamento Meccanico Biologico ( Tmb) del Salario”, “Io avrei avuto bisogno di tutte le istituzioni. Non è stato fatto”, “arriverà qualcuno che dirà: “per risolvere l'emergenza dei rifiuti serve un impianto fatto velocemente, senza norme, senza regole, ho io la soluzione””.

Chiamati in causa, la Regione Lazio, i Ministeri degli Interni, dell’Ambiente e della Difesa e gli impianti privati che vanno in manutenzione. L’incendio - avvenuto l’ 11 dicembre 2018 e le cui cause sono ancora in corso di accertamento da parte della magistratura - ha riguardato l’impianto Ama di via Salaria, un paio di km prima del Grande Raccordo Anulare che trattava circa 700 tonnellate al giorno dei rifiuti indifferenziati di Roma.

Secondo Raggi: “Il Comune si deve occupare della raccolta. Il trattamento e lo smaltimento non li fa il Comune”. In tutta Italia o quasi i Comuni si occupano anche di smaltire i rifiuti: termovalorizzatori, gassificatori, inceneritori, biodigestori per quelli umidi, fabbriche che recuperano le materie prime dai rifiuti e, infine, discariche per fanghi, residui di smaltimento, ceneri e per quella parte di rifiuto che non può essere né bruciata, né riciclata. E i Comuni o lo fanno direttamente o si affidano a partner privati.

Solo a Roma questo non avviene perché né il Partito Democratico 2013- 2015 né i 5Stelle nell’ultimo triennio hanno mai avuto la forza e la volontà di affrontare il tema rifiuti in modo sistemico: si è preferito affidarsi a impianti fuori Roma, in altre Regioni, addirittura all’estero ma, per carità, non si parli di costruire impianti di trattamento e smaltimento qui. Lamenta, poi, la Raggi di aver chiesto inutilmente “ai Ministeri dell'Ambiente, della Difesa e dell'Interno” di schierare l’esercito “fuori dal Tmb di Rocca Cencia” ( l’altro sito dove ci sono impianti di Ama e di privati, ndr) “perché quello è strategico”.

Annotazione mancante: i ministri dell’Ambiente, Sergio Costa, e della Difesa, Elisabetta Trenta, erano espressione diretta dei 5Stelle. Il racconto della Raggi prosegue: “A giugno arriva l'ordinanza della Regione” che per risolvere la crisi rifiuti del momento impone deroghe alle quantità lavorabili negli impianti del Lazio, al Campidoglio l’approvazione dei bilanci Ama ( mai fatto), ad Ama, fra le altre, l’acquisto di tritovagliatori ( mai fatto). Ad agosto, però, molti impianti vanno in manutenzione e la Raggi riscrive “a tutti” chiedendo “prorogate l'ordinanza, eseguitela coattivamente”. La soluzione, quindi, è l’esproprio proletario degli impianti altrui: cioé: gli impianti servono, ma io non li voglio sul mio territorio. E ciò che, secondo l’Ordinanza, io Comune dovevo fare non lo faccio.