L’ampliamento del porto di Brindisi, pur a fronte di diverse sentenze di assoluzione, continua a essere nel mirino della Procura. Tutto nasce nel 2010, quando vengono iscritti nel registro degli indagati gli allora vertici dell’Autorità portuale di Brindisi, dell’ufficio Urbanistica del Comune e della ditta incaricata della realizzazione delle infrastrutture. Secondo i pm vi sarebbero violazioni del piano regolatore portuale, mediante una diversa destinazione d’uso delle opere: traffico passeggeri invece che traffico merci con finalità commerciale e industriale. Le indagini vengono condotte dalla Guardia di finanza.

Il procedimento si trascina per diversi anni, fino al 2016, quando il gup decide di dichiarare per tutti gli imputati, anche con la richiesta del pm, il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste. Secondo il giudice non ci sarebbe stata alcuna lottizzazione abusiva in quanto il piano regolatore portuale era solo uno strumento di programmazione opera. Sul punto si esprime in maniera conforme anche il Consiglio di Stato. Nel frattempo, alla Procura di Brindisi arriva il pm Raffaele Casto, che decide di riprendere in mano il fascicolo, e presenta una richiesta di revoca della sentenza di assoluzione. Richiesta che viene pero stroncata dal gip Valerio Fracassi, ex componente del Consiglio superiore della magistratura: «Il pm chiede una inammissibile rivalutazione della decisione precedente adottata su conforme conclusione del pm che non ha impugnato la sentenza», esordisce Fracassi, sottolineando subito le «aggettivazioni alquanto eccentriche» utilizzate da Casto nel proprio atto.

Le nuove prove di Casto sarebbero costituite dalla solita annotazione della Guardia di finanza del 2013 e dalla consulenza tecnica di parte civile, non avendo il pm dell’epoca provveduto in tal senso. Inoltre ci sarebbero nuove “testimonianze”, come quella del provveditore alle Opere pubbliche che, sentito da Casto, dichiara: «Non conosco nei dettagli il piano regolare portuale di Brindisi», limitandosi, come sottolinea Fracassi, «ad affermare, sollecitato dal pm, che la tesi giusta è quella sostenuta dall’accusa». Successivamente, Casto stigmatizza la pronuncia del giudice amministrativo sul punto. «Sfugge la rilevanza della questione», replica Fracassi. «Ciascuno può rimanere della propria opinione, ma chi svolge una funzione di accertamento della verità non può che attenersi alle regole che ne governano la ricerca nel nostro sistema penale. La conformità degli strumenti urbanistici è stabilita dal giudice amministrativo. L’esistenza del reato da quello penale. E di fronte ad una decisione non impugnata, non resta che prenderne atto. Il sistema processuale prevede la revisione della sentenza di condanna e non quella di assoluzione o proscioglimento», conclude Fracassi. Con una motivazione del genere, da incorniciare nei manuali di diritto, chiunque si sarebbe, come si usa dire, messo l’anima in pace. Casto, invece, non molla e presenta ricorso in Cassazione contro il provvedimento di Fracassi. E anche a piazza Cavour la stroncatura è totale, con lo stesso procuratore generale favorevole all’inammissibilità.

Chiusa questa parentesi, sul porto di Brindisi si è abbattuta in questi mesi una nuova inchiesta, sempre per un presunto abuso edilizio. Nel mirino di Casto, questa volta, il nuovo presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar Adriatico meridionale, Ugo Patroni Griffi, e altri cinque indagati. Tra questi l’ex commissario dell’Autorità portuale, Mario Valente, già comandante della Capitaneria di porto di Brindisi, il dirigente dell’Authority Francesco Di Leverano, il direttore dei lavori Cristian Casilli e gli imprenditori Devis Rizzo e Francesco Caroli. I reati contestati sono sempre gli stessi: interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia in assenza di accertamento di conformità, in assenza di autorizzazione, e lottizzazione abusiva.

«Insomma a Brindisi - ha ricordato Patroni Griffi - non si vuole che il porto si infrastrutturi. Mi contestano un abuso edilizio per un’opera i cui lavori non solo erano ripresi prima del mio insediamento, ma sulla cui legittimità si sono stratificate due sentenze del Tribunale di Brindisi, di cui una passata in giudicato, e il parere di numerose commissioni tecniche e finanche provvedimenti del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Non posso non rilevare che tra le motivazioni per la proroga delle indagini sia addotta la non condivisione della recente sentenza del Consiglio di Stato, dacché, sulla scorta della convinzione espressa dall’avvocato del Comune, parte soccombente, la sentenza passata in giudicato sarebbe erronea. Quando pensi di averle viste davvero tutte...», conclude sconsolato Patroni Griffi, esprimendo «enorme sorpresa per il fatto che il Ctu sia la stessa persona per cui promossi un giudizio di responsabilità, credo chiedendo circa 8 milioni di euro di danni: è legittimo che renda una consulenza tecnica d’ufficio – si chiede Patroni Griffi - in un processo in cui io sono indagato? La risposta da professore di diritto è ovvia. Probabilmente si applica un codice che non conosco». L’indagine non ha comunque influenzato il governo, che ha recentemente rinnovato l’incarico a Patroni Griffi.