Sono terrorizzato. E non è più la collera, l’indignazione vendicatrice, il bisogno di gridare il crimine commesso, di pretenderne il castigo in nome della verità e della giustizia; è il terrore, il sacro spavento di un uomo che vede realizzarsi l’impossibile, i fiumi risalire verso le sorgenti, la terra capovolgersi sotto il sole. E ciò che io grido è lo sconforto della nostra generosa e nobile Francia, è la paura dell’abisso in cui sta scivolando.

C’eravamo illusi che il processo di Rennes fosse il quinto atto della terribile tragedia che viviamo da quasi due anni. Le pericolose peripezie sembravano ormai dissolte, credevamo di andare verso una conclusione che portasse alla pacificazione e alla concordia. Dopo la dolorosa battaglia, la vittoria del diritto si rendeva inevitabile, il dramma doveva concludersi felicemente con il classico trionfo dell’ innocente. E invece ci siamo sbagliati: si annuncia una nuova peripezia, la più inattesa, la più spaventosa di tutte, che rende nuovamente cupo il dramma, che lo prolunga e lo proietta verso un finale ignoto, davanti al quale la nostra ragione rimane turbata e vacilla.

Il processo di Rennes è soltanto il quarto atto. Gran Dio. Come sarà il quinto? Quali dolori e quali nuove sofferenze potrà mai generare, verso quale espiazione suprema getterà la nazione? Perché è più che certo che l’innocente non può essere condannato due volte e che una conclusione del genere spegnerebbe iI sole e solleverebbe i popoli!

Ah, quel quarto atto del processo di Rennes, con quale agonia morale l’ho vissuto dal fondo della più completa solitudine in cui mi ero rifugiato, con lo scopo di scomparire dalla scena da buon cittadino, desideroso di non dare altre occasioni al fanatismo e al disordine! Con quale angoscia nel cuore aspettavo notizie, lettere, giornali, e quali ribellioni, quali sofferenze nel leggerli! Le splendide giornate di quel mese d’agosto si rabbuiavano, e mai ho avvertito l’ombra e il freddo di una soglia così agghiacciante sotto cieli tanto smaglianti.

Certamente in questi due anni le sofferenze non sono mancate. Ho sentito le folle inseguirmi gridando «Amore!», ho visto passare ai miei piedi un immondo torrente di oltraggi e di minacce, ho conosciuto per ben undici mesi la disperazione dell’esilio. Inoltre ho subito due processi, spettacoli lacrimevoli di viltà e d’iniquità. Ma cosa sono i miei due processi se confrontati a quello di Rennes? Idilli, scene rinfrescanti in cui fiorisce la speranza. Abbiamo assistito a tante mostruosità: i procedimenti giudiziari conto il colonnello Picquart, l’inchiesta della Sezione Penale, la legge d’incompetenza a procedere che ne è conseguita. Ma oggi che l’inevitabile progressione ha fatto il suo corso, tutto questo sembra puerile, e il processo di Rennes sboccia nella sua enormità all’apice come un orrendo fiore da un letamaio.

In esso abbiamo visto uno straordinario concentrato di attentati contro la verità e la giustizia. Una banda di testimoni dirigeva il dibattimento, ogni sera metteva a punto loschi tranelli per il giorno successivo, avanzava richieste a colpi di menzogne al posto del pubblico ministero, terrorizzava e insultava chi osava contraddirla, s’imponeva con l’insolenza dei suoi galloni e pennacchi. Un tribunale, preda di questa invasione di ufficiali, soffriva visibilmente nel vederli in veste di criminali e obbediva a una mentalità tutta particolare, che bisognerebbe lungamente smontare per poter giudicare i giudici. Un pubblico ministero grottesco ai limiti dell’imbecillità, che lasciava agli storici di domani una requisitoria nata da un animale umano non ancora classificato, la cui inconsistenza stupida e omicida, di una crudeltà talmente senile e cocciuta da apparire incosciente, sarà causa di un eterno stupore. Una difesa che da principio si tenta di assassinare, poi si mette a tacere ogni volta che diventa imbarazzante, alla quale si rifiuta di produrre la prova decisiva nel momento in cui reclama i soli testimoni che veramente sanno.

Questa vergogna è durata un mese intero al cospetto dell’innocente, quel povero Dreyfus ridotto a un brandello umano che farebbe piangere anche le pietre. I suoi vecchi commilitoni sono venuti a dargli l’ennesi- mo calcio e i suoi vecchi superiori a schiacciarlo con i loro gradi, pur di salvare se stessi dalla galera: non c’è stato nessun grido di pietà o un fremito di generosità in quelle anime vili. La nostra dolce Francia ha offerto questo spettacolo al mondo intero.

Quando verrà pubblicato in extenso, il resoconto del processo di Rennes sarà il monumento più ripugnante dell’infamia umana. Esso supera ogni cosa e mai documento più criminale sarà stato fornito alla storia. L’ignoranza, l’idiozia, la follia, la crudeltà, la menzogna, il crimine vi sono ostentati con una tale spudoratezza che le generazioni future ne arrossiranno di vergogna. In esso vi sono le prove della nostra bassezza di cui arrossirà l’umanità intera. Ed è proprio da qui che nasce il mio sgomento, perché se un simile processo si è potuto svolgere, se una nazione può offrire al mondo civile una simile dimostrazione del suo stato morale e intellettuale, bisogna che essa attraversi una crisi spaventosa. Si tratta dunque della morte prossima? E quale bagno di bontà, di purezza, di equità ci salverà dal fango velenoso in cui agonizziamo?

Come scrivevo nel mio J’accuse, in seguito alla scandalosa assoluzione di Esterhazy, è impossibile che un Consiglio di Guerra cancelli ciò che un altro Consiglio di Guerra ha fatto. Ciò è contrario alla disciplina. E la sentenza del Consiglio di Guerra di Rennes che, nel suo imbarazzante gesuitismo, non ha il coraggio di pronunciare un sì o un no, è la prova eclatante che la giustizia militare è impotente ad essere giusta, perché non è libera e rifiuta l’evidenza, al punto da condannare nuovamente un innocente piuttosto che mettere in dubbio la propria infallibilità. Si è ostentata come un’arma d’esecuzione in mano agli ufficiali. A questo punto essa non saprebbe essere altro che una giustizia sommaria, da tempo di guerra. Ma in tempo di pace deve scomparire, dal momento che è incapace di equità, di semplice logica e di buon senso. Si è condannata da sé.

Ma ci rendiamo conto della situazione atroce che ci viene imposta tra le nazioni civili? Un primo Consiglio di Guerra, ingannato dalla sua ignoranza delle leggi e dalla sua inettitudine nel giudicare, condanna un innocente. Un secondo Consiglio di Guerra, che a sua volta è stato forse tratto in errore dal più spudorato complotto di menzogne e di inganni, assolve un colpevole. Un terzo Consiglio di Guerra, dopo che è stata fatta luce, dopo che la più alta magistratura del Paese ha deciso di lasciargli l’onore di riparare l’errore, osa negare la chiara evidenza e condanna di nuovo l’innocente. E l’irreparabile, è stato commesso il delitto supremo. Gesù è stato condannato una sola volta. Ma crolli pure tutto, che la Francia sia preda delle fazioni, che la patria in fiamme sprofondi tra le macerie, che l’esercito stesso ci rimetta il suo onore, piuttosto che confessare che dei colleghi si sono sbagliati e che alcuni ufficiali hanno mostrato di essere dei bugiardi e dei falsari! L’idea sarà crocifissa, la sciabola deve regnare.

Ed eccoci in questa magnifica situazione davanti all’Europa e al mondo intero che è convinto dell’innocenza d Dreyfus. Qualora un dubbio fosse ancora rimasto presso qualche popolo lontano, lo scandalo lampante del processo di Rennes avrebbe ottenuto l’effetto di illuminarlo. Le corti delle grandi potenze vicine sono informate, conoscono documenti, hanno la prova dell’indecenza di tre o quattro nostri generali e della paralisi vergognosa della nostra giustizia militare. La nostra Sedan morale è perduta ed è cento volte più disastrosa dell’altra, dove si è versato soltanto del sangue. Lo ripeto. Ciò che mi sgomenta è che questa disfatta del nostro onore sembra insanabile. Come annullare infatti le sentenze di tre Consigli di Guerra, dove troveremo l’eroismo di confessare la colpa per poter camminare di nuovo a fronte alta? Dov’è il governo coraggioso e di salute pubblica, dove sono le Camere che comprenderanno e agiranno prima dell’inevitabile crollo?

La cosa peggiore è che siamo arrivati ormai a una fondamentale scadenza. La Francia ha voluto festeggiare il suo secolo di lavoro, di scienza, di lotte per la libertà la verità e la giustizia. Come vedremo in seguito, non è mai esistito secolo più nobile. E la Francia ha dato appuntamento presso di sé a tutti i popoli per glorificare la sua vittoria, la Libertà conquistata, la verità e la giustizia promesse al mondo. Fra qualche mese i popoli arriveranno, ma troveranno che un innocente è stato condannato due volte, la verità soffocata, la giustizia assassinata. Siamo caduti nel loro disprezzo, ed essi verranno a fare bagordi, berranno il nostro vino, abbracceranno la nostra servitù, come si usa fare nell’infima stamberga dove è consentito comportarsi da canaglie. Possiamo mai accettare che la nostra Esposizione Universale sia il luogo malfamato e disprezzato dove il mondo intero vorrà darsi ai bagordi? No! Abbiamo immediatamente bisogno del quinto atto della mostruosa tragedia, quand’anche dovessimo lasciarci ancora un po’ della nostra carne. Abbiamo bisogno del nostro onore per accogliere i popoli in una Francia guarita e rigenerata.

Quel quinto atto che cerco e immagino mi ossessiona, non faccio che pensarci. Nessuno si è accorto che l’affaire Dreyfus, questo gigantesco dramma che agita l’universo, sembra messo in scena da qualche sublime drammaturgo, desideroso di farne un incomparabile capolavoro? Ricordo le straordinarie peripezie che hanno sconvolto tante coscienze. Ad ogni nuovo atto la passione è aumentata e l’orrore è esploso più intenso. In questa opera vivente, il destino è il genio che anima i personaggi e determina i fatti, sotto la tempesta che egli stesso scatena. E poiché sicuramente desidera che il capolavoro sia completo, ci prepara chissà quale sovrumano quinto atto che ricollocherà la gloriosa Francia alla testa delle nazioni. Perché, siatene convinti, è il destino che ha voluto il crimine supremo di vedere l’innocente condannato una seconda volta. Occorreva che il crimine venisse commesso per la grandezza della tragedia, per la bellezza sovrana, per I’espiazione che forse permetterà l’apoteosi. Visto che è stato toccato il fondo dell’orrore, non mi resta che aspettare il quinto atto che metterà fine al dramma, liberandoci e ridonandoci una nuova integrità e giovinezza.

Oggi parlerò con franchezza del mio timore, che è sempre stato, come ho lasciato più volte intendere, che la verità, la prova decisiva e schiacciante ci venga dalla Germania. Non è più tempo di tacere su questo pericolo mortale. Diversi segnali ci dicono che conviene considerare coraggiosamente il caso in cui fosse proprio la Germania a portarci il quinto atto, come un fulmine a ciel sereno.Ecco la mia confessione. Nel gennaio 1898, prima del mio processo, io venni a sapere con certezza che Esterhazy era «il traditore», che lui aveva fornito a Schwartzkoppen un considerevole numero di documenti, molti dei quali scritti personalmente, e che la lista completa si trovava a Berlino al Ministero della Guerra. lo non faccio il patriota di mestiere, ma confesso che le rivelazioni che mi furono fatte mi sconvolsero; da quel momento la mia angoscia di buon francese non è più cessata, ho vissuto nel terrore che la Germania, forse nostra futura nemica, ci schiaffeggiasse con le prove che sono in suo possesso.Ma come! Il Consiglio di Guerra del 1894 condanna Dreyfus innocente, il Consiglio di Guerra del 1898 proscioglie Esterhazy che è colpevole, la nostra nemica detiene le prove del duplice errore commesso dalla nostra giustizia militare e tranquillamente la Francia si ostina in quell’errore, accettando lo spaventoso pericolo dal quale è minacciata! Dicono che la Germania non può servirsi di documenti ottenuti per mezzo dello spionaggio. Cosa ne sappiamo? Se domani scoppiasse la guerra, non comincerebbe forse con la perdita dell’onore del nostro esercito di fronte all’Europa, con la pubblicazione dei documenti che mostrano l’infame ingiustizia in cui certi ufficiali si sono intestarditi? È tollerabile un pensiero del genere, potrà la Francia godere di un istante di riposo fin tanto che saprà in mano allo straniero le prove del suo disonore? Lo dico con semplicità: non riuscivo più a darmi pace.Così insieme a Labori decidemmo di citare come testimoni gli addetti militari stranieri, pur sapendo benissimo che non li avremmo condotti alla sbarra, ma volendo far capire al governo che sapevamo la verità nella speranza che agisse. Hanno fatto orecchie da mercante, hanno ironizzato e lasciato l’esercito in mano alla Germania. E le cose sono rimaste ferme fino al processo di Rennes. Appena rientrato in Francia sono corso da Labori, ho insistito disperatamente perché venissero fatti passi presso il ministero per segnalare la terrificante situazione, per domandargli se non intendesse intervenire affinché, grazie alla sua mediazione, ci venissero dati i documenti. Certamente la questione era molto delicata, inoltre c’era quel povero Dreyfus da salvare, ragion per cui bisognava essere pronti a tutte le concessioni per timore di irritare l’opinione pubblica già sconvolta. D’altronde, se il Consiglio di Guerra avesse assolto Dreyfus, i documenti avrebbero perso il loro valore e l’arma, di cui la Germania si sarebbe potuta servire, si sarebbe spezzata. Dreyfus prosciolto, ecco l’errore riconosciuto e riparato. L’onore sarebbe stato salvo.E il mio tormento patriottico è ricominciato ancora più forte, non appena ho saputo che un Consiglio di Guerra stava per aggravare il pericolo condannando di nuovo l’innocente, l’uomo del quale la pubblicazione dei documenti di Berlino griderà un giorno l’innocenza. Ecco perché non ho cessato d’agire, supplicando Labori di reclamare questi documenti e di citare come testimone Schwartzkoppen, il solo che possa fare piena luce. E il giorno che Labori, l’eroe ferito da una pallottola sul campo di battaglia, approfittando di un ‘ occasione offertagli dagli accusatori, ha chiamato alla sbarra Io straniero indegno, quel giorno che si è alzato per chiedere che venisse ascoltato l’uomo che con una sola parola poteva porre fine all’affaire, quel giorno egli ha adempiuto fino in fondo al suo dovere, è stato la voce eroica che nulla potrà far tacere, la cui richiesta sopravvive al processo, e al momento opportuno dovrà fatalmente farlo ricominciare per chiuderlo con la sola soluzione possibile: l’assoluzione dell’innocente. La richiesta dei documenti è stata inoltrata, sfido a che quei documenti non siano prodotti.Vedete in quale maggiore e intollerabile pericolo ci ha messo il presidente del Consiglio di Guerra di Rennes usando il suo potere discrezionale per impedire la pubblicazione dei documenti. Niente di più brutale, mai porta è stata chiusa più intenzionalmente alla verità. «Non vogliamo che ci venga fornita la prova, perché vogliamo condannare». E un terzo Consiglio di Guerra si è aggiunto agli altri due nel cieco errore, per cui una eventuale smentita dalla Germania colpirebbe ora tre sentenze inique. Non è demenza pura, non c’è da urlare di ribellione e d’inquietudine? Il governo che i suoi funzionari hanno tradito, che ha avuto la debolezza di lasciare che bambini cresciuti, dalla mentalità ottusa, giocassero con i fiammiferi e i coltelli; il governo che ha dimenticato che governare significa prevedere deve affrettarsi ad agire se non vuole abbandonare a capriccio della Germania il quinto atto, l’epilogo che tutta Ia Francia dovrebbe temere. È lui, il governo, che ha il compito di recitare al più presto questo quinto atto, per impedire che lo facciano dall’estero. Può procurarsi i documenti, Ia diplomazia ha risolto difficoltà ben più grandi. Il giorno in cui saprà chiedere i documenti del bordereau, li otterrà. E questo sarà il fatto nuovo che renderà necessaria una seconda revisione davanti alla Corte di Cassazione. Questa volta spero istruita e in grado di cessare senza alcun rinvio nella pienezza della sua magistratura sovrana.Ma se il governo dovesse di nuovo tirarsi indietro, i difensori della verità e della giustizia faranno quanto è necessario. Non uno di noi diserterà il suo posto. La prova inconfutabile prima o poi finiremo per averla.Il 23 novembre saremo a Versailles. Il mio processo ricomincerà, perché si vuole farlo ricominciare in tutta la sua ampiezza. Se finora giustizia non è stata ancora fatta, daremo un nuovo contributo per ottenerla. Il mio caro e valoroso Labori, il cui onore si è nel tempo accresciuto, pronuncerà perciò a Versailles l’arringa che non ha potuto pronunciare a Rennes; è semplicissimo, niente andrà perduto. lo non lo farò certo tacere. Dovrà soltanto dire la verità, senza temere di nuocermi, poiché sono pronto a pagarla con la mia libertà e col mio sangue.Davanti alla Corte d ‘ Assise della Senna ho giurato l’innocenza di Dreyfus. La giuro davanti al mondo intero che ora la grida con me. E torno a ripeterlo: la verità è in cammino e niente potrà fermarla. A Rennes ha appena compiuto un passo da gigante. Non mi resta che lo spavento di vederla piombare a saccheggiare la patria, come una folgore scagliata dalla Nemesi vendicatrice, se non ci affrettiamo a farla risplendere noi stessi sotto il nostro vivido sole di Francia.