Da quando Richard Gere è salito sulla nave della Ong Open Arms, con a bordo 121 migranti che da più di una settimana attendono di sbarcare, gli apprezzamenti nei suoi confronti a suon di “ufficiale e gentiluomo”, uno dei suoi film più famosi, si sono sprecati. L’attore hollywoodiano, che da anni ha scelto la strada del buddismo e dell’impegno, ha dato un segnale importante a chi da casa segue, con sempre maggior distacco, le sorti di migliaia di migranti.

Invece di fare un semplice tweet, di fare una intervista, di litigare con i leader europei, in testa quelli italiani, che stanno mettendo a rischio la vita delle persone, ha spiazzato tutti e si è messo in gioco in prima persona. Stamattina è attesa la conferenza stampa, ma già ieri è salito a bordo portando i viveri e altri beni di prima necessità: «Abbiamo portato tutta l’acqua e il cibo possibile - ha detto l’attore in un videomessaggio - Le persone che vedete a bordo sono qui solo grazie alle donazioni fatte a Open Arms. E ora la cosa più importante per loro è arrivare in un porto libero/sicuro, scendere dalla barca e iniziare una nuova vita. Quindi per favore supportateci, supportate la Open Arms e tutte queste persone e i loro fratelli e sorelle».

Gere non ha seminato odio, ma sta seminando buon esempio. E anche se gli odiatori social lo hanno preso di mira con i soliti insulti - chi ti paga? portali a casa tua, buonista etc etc - che ripetono come un disco rotto, il protagonista di American gigolò è un testimonial di grande valore. La sua popolarità, nonostante l’inquinamento dell’hate speech, potrà raggiungere molti fan, parlare - si spera - a tutte quelle persone che in questi anni si sono convinte che l’altro sia un pericolo, che lo straniero sia il nemico pubblico numero uno. Intanto gli unici che muoio in mare sono loro. Sono loro che fuggono da guerre e povertà.

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Ha ragione Richard Gere. È arrivato il tempo di testimoniare in prima persona. Di recente c’è stato l’anniversario della nascita di Ernest Hemingway che iniziava il suo romanzo più famoso, Per chi suona la campana, citando i versi della poesia di John Donne. Il poeta, ripreso dal premio Nobel, considera ogni morte umana come qualcosa che tocca tutti, come un lutto che non ci può lasciare indifferenti. Si chiede per chi suona la campana, quando muore qualcuno. Muore, risponde, per te, per me, per tutti.

Oggi quello che sta accadendo nel Mediterraneo, reso ancora più drammatico dal decreto sicurezza bis, che criminalizza Ong e chi soccorre in mare i migranti, non può lasciare indifferenti gli uomini e le donne di buona volontà. Vale per chiunque. Ancora di più per chi ha visibilità, per chi con la sua immagine può convincere più persone possibili che la strada della chiusura non è quella vincente, non è quella umana. È il momento di esporsi, di salire a bordo. Richard Gere, il bello e bravo di Hollywood, lo ha fatto. Insieme a lui anche il nostro chef Rubio. In molti non vogliono più stare a guardare. Il tempo, pensano, è scaduto.