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Ha trascorso quasi vent’anni in una prigione dell’Illinois per un clamoroso errore giudiziario: il colpevole era infatti suo fratello gemello. Si chiama Kevin Dugar e da giovane era membro della gang Vice Lords nations attiva nei sobborghi di Chicago. Nel 2003 è stato condannato a oltre mezzo secolo di carcere da un tribunale federale dopo che la giuria l’aveva riconosciuto colpevole dell’omicidio di Antwan Taylor, un ragazzo appartenente a una gang rivale. Secondo le ricostruzioni della polizia il 22 marzo di quell’anno Dugar, dopo essere uscito da una festa di compleanno in stato di ebbrezza, decide di andare con un amico in un parco non distante per acquistare della marijuana e terminare così la serata. La sfortuna vuole che in quel momento passassero alcuni membri della gang nemica; in pochi istanti la situazione degenera, insulti, minacce e poi una sparatoria in cui Taylor perde la vita. L’inchiesta che segue è frettolosa e approssimativa: la polizia individua un testimone oculare che afferma di aver visto Dugar sul luogo del delitto vestito di nero e come spesso accade oltreoceano le testimonianze oculari sono innalzate a “prova suprema” e rarissimamente vengono contraddette dalle sentenze. La gran parte degli errori giudiziari commessi da una giuria americana si fonda infatti su testimonianze oculari, quasi tutti a danno di cittadini afroamericani. A nulla sono serviti i tentativi di Dugar di discolparsi, il suo alibi fu giudicato debole e poco credibile mentre il testimone confermò la sua versione. Ma Dugar non si dà per vinto, continua a dirsi innocente e rifiuta il patteggiamento che gli aveva suggerito il suo avvocato: avrebbe dovuto dichiararsi colpevole di omicidio involontario al processo di appello in modo da scontare “solamente” undici anni e magari ottenere qualche permesso per buona condotta. «Non ho mai preso in considerazione questa ipotesi, non ho mai avuto l’intenzione di confessare un reato che non ho commesso», ha poi raccontato al quotidiano britannico The Guardian. Infatti l’autore dell’omicidio, era un’altra persona, ovvero il fratello gemello Karl, che oggi porta il cognome della madre, ossia Smith. Che inizialmente non prova alcun rimorso, anzi: ha paura di essere denunciato da Gabriel Gabriel Curiel, l’amico che era con lui quella sera. Così qualche tempo dopo si presenta a casa di Curiel con una pistola, lo minaccia e scoppia una lite: Curiel rimane ferito alla spalla da un colpo d’arma da fuoco, un altra pallotto colpisce la tempia del figlio di appena sei anni che miracolosamente riesce a sopravvivere alla ferita. Smith viene arrestato e riconosciuto colpevole anche per altri capi d’accusa, tra cui diverse rapine a mano armata. La condanna è pesantissima: 99 anni di prigione, praticamente l’ergastolo. A quel punto, senza speranze e prospettive affiora il rimorso nei confronti del fratello, ma ci vorranno altri dieci anni perché si metta in gioco. La svolta arriva nel 2018 quando gli avvocati di Dugar impugnano una lettera scritta dal fratello in cui chiede di essere perdonato: «Caro Kevin fatto una cosa orribile che ho tenuta segreta per troppi anni, ti ho tenuto lontano da tua figlia e sono responsabile di tanto dolore, ho un peso tremendo sullo stomaco che mi uccide, ti prego, perdonami se puoi». Il giudice incaricato però non crede alla confessione di Smith che ritiene «assolutamente non attendibile» in quanto l’uomo non avrebbe più nulla da perdere. Gli avvocati di Dugar però non demordono, sanno che la confessione di Smith è veritiera, e nel marzo dello scorso anno riescono a ottenere udienza presso la corte di appello dell’Illinois che un mese più tardi decide di annullare la sentenza e di rifare il processo. Nel frattempo Dugar è uscito dal carcere sotto cauzione e gode della libertà condizionata. Ha rilasciato qualche intervista ai media locali e internazionali raccontando la sua odissea ma spiegando di non essere in collera con il fratello a cui continua a voler bene: «L’unico responsabile di quel che mi è accaduto è il sistema giudiziario americano».