di Giuseppe Cascini*

Il dibattito sulle riforme in materia di giustizia viene sovente rappresentato, nella narrazione prevalente, in termini di scontro tra magistratura e politica. Non fa eccezione la vicenda relativa al progetto di riforma del Csm, rispetto al quale il parere recentemente approvato dal Consiglio viene rappresentato in termini di “veto”, di “bocciatura”, di contrarietà della magistratura ad ogni possibile riforma. Nulla di più lontano dal vero.

Nel parere del Consiglio, reso in quello spirito di leale collaborazione che ha sempre caratterizzato l’approccio del Csm, si possono leggere apprezzamenti per alcune delle proposte della Ministra - che peraltro hanno anche recepito alcune indicazioni provenienti dal Consiglio -, rilievi critici su alcuni aspetti e anche indicazioni e suggerimenti su possibili ulteriori interventi. Un approccio che con evidenza non corrisponde alla rappresentazione di una “bocciatura” o di una pregiudiziale contrarietà ad ogni ipotesi di cambiamento.

Allo stesso modo non corrisponde alla realtà la rappresentazione di una spaccatura del Consiglio sul parere, in particolare tra la componente laica e quella togata. La componente laica ha fornito un rilevante contributo alla elaborazione del parere sia nella fase dei lavori della Commissione, che ha approvato la proposta all’unanimità, sia nella fase del dibattito al Plenum, nel corso del quale sono stati approvati numerosi emendamenti, anche proposti dai componenti laici, e con il loro voto favorevole.

È anche vero che in sede di votazione finale i componenti laici, salvo alcune astensioni, hanno espresso voto contrario. Ma mi permetto, molto sommessamente, di dire che questo voto ha probabilmente risentito più del dibattito esterno sul tema che degli esiti della discussione interna al Consiglio. Sulla riforma della legge elettorale del Consiglio mi pare rilevante segnalare che nel parere è stato inserito, su iniziativa del prof. Donati e con una votazione a larghissima maggioranza, un apprezzamento per la scelta della Ministra di escludere qualsiasi ipotesi di sorteggio come strumento di selezione dell’elettorato passivo, considerato in contrasto con il chiaro disposto dell’articolo 104 della Costituzione.

Inoltre è stata ribadita la assoluta necessità di una riforma della legge elettorale dei componenti del Consiglio, considerando quella vigente una delle cause di quelle distorsioni del funzionamento del governo autonomo che di recente sono emerse in tutta la loro gravità. A riprova della piena consapevolezza da parte del Consiglio della necessità di interventi di riforma. Quanto al meccanismo elettorale proposto dalla Ministra, sono state formulate alcune osservazioni di ordine tecnico ed è stata avanzata una proposta correttiva, che senza modificare l’impianto, sembrava a quelli di noi che l’hanno formulata più rispondente agli obiettivi perseguiti con la riforma. Il pericolo delle degenerazioni correntiste deriva soprattutto dall’eccessivo potere che l’attuale legge elettorale attribuisce di fatto agli organismi dirigenti dei gruppi associativi nella selezione degli eletti.

Con il meccanismo maggioritario plurinominale oggi vigente, infatti, i gruppi sono indotti a presentare un numero di candidati pari al numero che presumono di eleggere per poi concentrare i voti su quei candidati. In questo modo il numero dei candidati finisce per essere sempre di poco superiore, quando non addirittura pari, al numero dei posti disponibili e gli elettori, anche quelli che aderiscono ai gruppi, hanno un potere di scelta assai limitato. Questo pericolo rischia di riprodursi anche con il meccanismo dei collegi binominali proposto dalla Ministra.

Inoltre, l’accentuato carattere maggioritario del sistema rischia di escludere la possibilità di una rappresentanza per i gruppi minori e di rendere impossibile la elezione di candidati che non siano espressione dei gruppi. Per questo abbiamo proposto, con un emendamento approvato a maggioranza, di estendere a tutti i tredici seggi del collegio di merito il meccanismo elettorale previsto dalla proposta solo per cinque seggi. In questo modo risulterebbero comunque eletti i più votati in ogni collegio, ma a fronte di un numero di candidati almeno quattro volte superiore, quindi con una ben maggiore possibilità di scelta per gli elettori e rilevanti possibilità di garantire l’elezione di candidati indipendenti e di candidati di genere diverso.

Sulle modifiche in tema di carriera dei magistrati, il parere contiene numerosi apprezzamenti per alcune delle proposte avanzate dalla Ministra, molte delle quali recepiscono indicazioni provenienti dal Consiglio. Proprio nella condivisione della necessità di interventi forti e radicali su questo tema, abbiamo proposto alcune modifiche ancora più incisive, quali la effettiva temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi e l’obbligo per i dirigenti di completare l’incarico per l’intero periodo di otto anni prima di presentare domanda per un nuovo incarico. Nella stessa direzione si muovono anche alcuni rilievi critici contenuti nel parere in merito ad alcuni aspetti della proposta di riforma che rischiano, a nostro avviso, di accentuare impropriamente gli aspetti verticistici e gerarchici della organizzazione degli uffici.

Questo punto della proposta è stato approvato a larga maggioranza dal Plenum, con ampia condivisione da parte della componente laica e la contrarietà solo dei rappresentanti di un gruppo associativo. Nel parere, inoltre, sono stati espressi rilievi critici anche sulla estensione degli illeciti disciplinari per i magistrati del pubblico ministero per le violazioni delle disposizioni introdotte con la riforma del 2021 in tema di presunzione di innocenza. Il Consiglio Superiore ha sempre dimostrato grande attenzione al tema della comunicazione sulle indagini giudiziarie e della necessità di tutela dei diritti delle persone coinvolte, come indagati o come parti, nei procedimenti penali, adottando specifiche linee guida sull’argomento. E, personalmente, ho sempre sostenuto la necessità di una particolare prudenza e misura da parte dei magistrati nella comunicazione sulle indagini giudiziarie.

Ma l’illecito proposto, per la sua eccessiva ampiezza e genericità, rischia di entrare in conflitto con il principio di determinatezza degli illeciti disciplinari e di trasferire impropriamente in sede di sindacato disciplinare valutazioni di mera opportunità, esponendo i magistrati del pubblico ministero ad un eccessivo rischio disciplinare.

Una più netta divisione tra componente laica e componente togata vi è stata invece sul tema del contributo degli avvocati alle valutazioni di professionalità. E di ciò io personalmente mi dolgo. Su questo tema, come è noto, vi sono sensibilità diverse all’interno della magistratura, ma le critiche tecniche al meccanismo previsto dalla proposta erano ampiamente condivise, anche dalla componente laica, almeno nella prima fase della discussione sul parere.

La mia personale opinione sul tema, solo in parte presente nel parere, è che il contributo della avvocatura nel procedimento di valutazione di professionalità sarebbe particolarmente utile e prezioso e lo sarebbe di più se venissero effettivamente utilizzati gli strumenti informativi che la legge già prevede in capo all’avvocatura. Non deve, però, a mio avviso, tradursi in un giudizio valutativo, in quanto questo rischia di inquinare le ( e/ o essere inquinato dalle) dinamiche relazionali connesse alle funzioni svolte. Per questo, a mio avviso, il contributo degli avvocati deve essere sì incrementato e rafforzato, ma sul versante della comunicazione di elementi di fatto rilevanti per la valutazione, non attraverso un giudizio, peraltro espresso in modo unitario dall’organismo rappresentativo.

Del resto questa è la mia opinione anche con riferimento al ruolo degli altri attori del procedimento di valutazione, in quanto sono convinto che sia da evitare anche il giudizio valutativo del dirigente dell’ufficio, che rischia di accentuare impropriamente aspetti di dipendenza gerarchica negli uffici, o il giudizio valutativo di altre componenti, quali il personale amministrativo o i magistrati di altri uffici. Mentre a tutti gli attori del procedimento dovrebbe essere richiesto, direi anzi imposto, di fornire elementi di fatto utili per la valutazione.

Ciò perché la verifica periodica di professionalità non serve ad attribuire giudizi o valutazioni di merito, ma a verificare la persistente idoneità del magistrato a svolgere le funzioni. Anche per questo alcuni degli interventi su questo tema mi sembrano il frutto di quello spirito di propaganda che da troppi anni è la causa principale delle difficoltà di un dialogo costruttivo sulla giustizia. (*Consigliere togato del Csm)