Non è certo il cuore della controversa riforma giudiziaria con cui il governo Netanyahu sta spaccando in due la società israeliana, ed è una norma presente in diversi paesi democratici, ma potrebbe lo stesso diventare la classica goccia che fa traboccare il vaso.

Il Parlamento israeliano, la Knesset, ha infatti approvato una legge che mette al riparo il primo ministro dalla possibilità di essere dichiarato non idoneo a svolgere le funzioni del suo ufficio, ovvero dalla procedura di impeachment.

L’opposizione grida allo scandalo, sottolineando il carattere “ad personam” del provvedimento visto che Netanyahu è attualmente indagato per abuso di potere e corruzione dalla procura di Tel Aviv. Ormai la destituzione del premier può passare unicamente per il voto di tre quarti dei suoi ministri e dei deputati della Knesset, una circostanza che appare del tutto irrealistica.

La legge, definita dall’ex premier Yaïr Lapid «oscena come un ladro nella notte» è passata alla sua terza e ultima lettura dopo una sessione plenaria durata tutta la notte tra polemiche e aspre discussioni con 61 voti a favore e 47 contrari.

Anche il nazionalista Avigdor Lieberman un tempo grande alleato di “Bibi” ha contestato duramente la misura: «Non permetteremo che Israele diventi la monarchia privata di Netanyahu, ci rivolgeremo alla Corte Suprema».

Già, la Corte suprema: gli alti giudici israeliani, definiti dal ministro della giustizia Yariv Levin «una banda di sinistrorsi» sono infatti al centro della riforma della giustizia.

L’esecutivo intende in tal senso sottrarre alla Corte la prerogativa del veto sulle norme che non fossero compatibili le Leggi fondamentali (Israele non ha un costituzione vera e propria), considerata un intralcio all’azione di governo. Inoltre vuole modificare i meccanismi di nomina dei giudici che passerebbero a una Commissione controllata direttamente dal governo. Ma la violenza con cui il likud sta attaccando la Corte fa pensare piuttosto a un regolamento di conti politico.

È su questo ribaltamento brutale dell’architettura istituzionale dello Stato ebraico che da oltre tre mesi Netanyahu viene contestato nelle piazze del paese: cortei, manifestazioni e scioperi ai quali il governo ha reagito con estrema fermezza.

Non solo l’opposizione ma larga parte dell’opinione pubblica, anche di centrodestra, si è detta contraria alla riforma sostenendo le piazze contestatarie. Le città israeliane invase da dimostrazioni “monstre” come in Israele non si vedevano da decenni, non sono piaciute al premier che accusa i manifestanti di voler solamente seminare il caos: «Dobbiamo mettere fine a questo stato di anarchia» ha ringhiato Netanyahu che lo scorso mese aveva licenziato il capo della polizia di Tel Aviv perché «troppo morbido e tollerante» nei confronti del movimento di protesta. Un’intransigenza che ha creato le prime crepe all’interno della stessa maggioranza; il ministro della Difesa Yoav Gallant ha espresso le sue perplessità, annunciando le dimissioni nel caso in cui Netanyahu non trovasse un punto di mediazione con le altre forze politiche.

Un concetto ribadito anche dal presidente Usa Joe Biden che ha chiesto a “Bibi” di trovare un compromesso anche con i suoi oppositori

Intanto ancora ieri migliaia di persone sono scese per le strade gridando slogan contro l’esecutivo e scontrandosi con le forze dell’ordine che hanno caricato i cortei con cannoni ad acqua: circa settanta le persone arrestate nello sgombero di un blocco auto stradale tra Ayalon e Tel Aviv.