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Resterà per sempre l'icona delle notti magiche dello sport e di tutto il calcio italiano, di quell'Italia ‘90 dolce e amara segnata da suoi gol in sequenza e da quegli occhi spiritati e increduli, simbolo di un sogno comune bruciato dal destino nella serata di Napoli che non cancellò comunque la forza di una favola. Salvatore Schillaci, detto Totò, scomparso all’età di 59 anni, è stato tutto questo, un condensato di allegria e spensieratezza applicata al talento e ad una passione senza fine, ma anche lo sbocciare improvviso di un attaccante nato nei quartieri difficili di Palermo (lo Zen) che si è preso in un paio di anni tutta la gloria possibile.
Al punto da diventare capocannoniere di quella edizione del Mondiale (sei reti) e piazzarsi al secondo posto dietro Lothar Matthaus nella classifica del Pallone d’Oro. Totò fu la fotografia di un’epoca storico-culturale del Paese, l’uomo capace di riscattarsi da una vita difficile che poteva prendere percorsi irrimediabili se non ci fosse stato il dio pallone ad indirizzarlo altrove. Fu il genio uscito dalla lampada che fece innamorare tutti, in primis i tifosi della Juventus.
Dov’è nato Totò Schillaci
Palermitano classe 1964, arrivò alla Juventus dal Messina nel 1989 per 6 miliardi di lire. “Aveva una voglia di fare gol che non ho mai visto in nessuno”, disse di lui il suo allenatore nel Messina, Franco Scoglio. E la Signora fu il suo trampolino. Esordì in Serie A il 27 agosto nella partita in casa col Bologna (1-1) e nella sua prima stagione in bianconero conquistò subito il posto da titolare realizzando 15 gol in 30 partite di campionato. Acquisì subito il soprannome di Totò-gol e contribuì in maniera decisiva al double del club torinese nella Coppa Italia e nella Coppa Uefa, vinte superando in finale, rispettivamente, il Milan e la Fiorentina. Quell’annata segnò la svolta della carriera.
Dalla Juve alla Nazionale di Vicini
Il ct azzurro Azeglio Vicini lo convocò al successivo campionato del mondo 1990 da giocarsi proprio in Italia. Dopo la rassegna iridata, Schillaci giocò altre due stagioni in bianconero, andando tuttavia incontro a una pesante involuzione e trovando poche volte la rete. La convivenza con Roberto Baggio non fu semplice e lui stesso raccontò di scontri non solo verbali molto accesi (“Una volta facemmo a cazzotti: anzi, fui io a rifilargli un pugno. Si è trattato veramente di una stupidaggine”) . E quando arrivò in squadra anche Gianluca Vialli, Totò trovo sempre meno spazio. Passò all’Inter nella stagione 1992-93 ma la fiamma ispiratrice si stava già esaurendo. Con i nerazzurri giocò due stagioni siglando in totale 11 gol in 30 partite.
Non contento di stare ai margini prese il coraggio a due mani e accettò un cambio di vita radicale diventando il primo calciatore italiano a giocare campionato giapponese della J-League, con i Jubilo Iwata. I nipponici gli fornirono un interprete, un autista personale 24 ore su 24 e una bella abitazione. Per loro il Mondiale non era finito e lui ricambiò stima e affetto con i suoi gol: 56 in 78 partite. Nel 1997 vinse con la sua squadra il campionato, ma subì anche un serio infortunio che lo relegò definitivamente lontano dai campi di gioco, fino al ritiro ufficializzato nel 1999.
Scarpette al chiodo
Lasciato il calcio giocato, disputò altre ‘partite’ in nome del sociale: gestì un centro sportivo per ragazzi per toglierli dalla strada e allontanarli dalla delinquenza, fondò la prima squadra di migranti, il club Asante, che militò in terza categoria, si buttò anche in politica riuscendo a farsi eleggere come consigliere comunale della sua città tra le file di Forza Italia. Una certa nostalgia dei tempi che furono lo riportarono sulla scena mediatica.
Non mancarono le comparsate in tv, dall’’Isola dei Famosi’ a ‘Quelli che il calcio’, in cui era spesso ospite e dove tornò scherzosamente a vestire i panni di calciatore con la formazione dilettantistica dell'Altamura, disputando la partita conclusiva del campionato pugliese di Eccellenza. Interpretò anche il ruolo di un boss in una puntata della serie ‘Squadra antimafia - Palermo oggi”. Due anni fa fu ospite di ‘Pechino Express’, quando la malattia aveva già fatto la sua apparizione.
Ma Totò fino all’ultimo ha sempre reagito prendendo la vita di sponda, mai di petto, provando a regalare e regalarsi allegria, gioia, senso della vita, trovando sempre il modo di sorridere e fare centro, come in area di rigore. Ha vissuto con la fiamma dentro e una passione senza fine. Per tutto, il pallone e la vita.