«Sono orgoglioso di rappresentare un ex presidente degli stati Uniti e posso dire che si tratta di uno degli uomini più affascinanti che io abbia incontrato nella mia attività». Chi si somiglia si piglia e tra Donald Trump e Joe Tacopina non poteva che scattare il classico colpo di fulmine. Entrambi narcisisti e guasconi, spesso e volentieri sopra le righe, animati da una smania costante di finire al centro dell’attenzione, poco avvezzi al compromesso e al linguaggio paludato.

E in più l’avvocato italo americano, che il tycoon ha scelto per farsi difendere nel caso “Stormy Daniels”, è anche uno molto bravo nel suo lavoro che svolge da anni per uno dei più prestigiosi studi legali di Manhattan. Come The Donald anche Tacopina ama gli affari e il profumo dei dollari ma con una passione tutta sua: il gioco del calcio.

I tifosi italiani conoscono il suo nome da circa una decina d’anni, quando entra nel consiglio di amministrazione della As Roma di cui diventa vicepresidente. Poi l’acquisto del Bologna assieme al magnate italo- canadese Joey Saputo, l’entrata nel Cda del Venezia, la fallita acquisizione del Catania e infine la presidenza della Spal. Da figlio di immigrati palermitani giura di aver trasmesso l’amore viscerale per il mondo del pallone anche a The Donald. «Segue le partite della Spal e potrei persino convincerlo a comprarsi l’Inter», ha giurato qualche settimana fa. Una boutade naturalmente, ma che la dice lunga sull’esuberanza del personaggio.

Tra le altre cose Tacopina è anche un appassionato di giornalismo, e ha coperto per la Abc tutte le fasi del processo perugino ad Amanda Knox per l’omicidio di Meredith Kercher. Pare peraltro che la famiglia Knox lo avesse assunto come consulente legale anche se lui non ha mai confermato. Con Trump l’intesa è stata immediata, hanno lavorato fianco a fianco anche durante le vacanze, nella lussuosa villa del tycoon a Mar a Lago in Florida dove spesso è stato ospite.

Sulla vicenda Stormy Daniels non lesina giudizi politici attaccando l’iniziativa della procura newyorkese: «È una caccia alle streghe che cerca di abbattere il principale candidato del partito repubblicano, è il segno della decadenza e della corruzione del nostro sistema giudiziario». Ma non è certo con i comizi che intende salvare il suo prestigioso cliente.

La strategia difensiva di Tacopina è in realtà molto semplice: il procuratore distrettuale Alvin L. Bragg deve dimostrare che i 130mila dollari versati sul conto di Stormy Daniel hanno influito nella sua vittoriosa cavalcata nelle elezioni presidenziali del 2016. Inferenza tutt’altro che scontata: se è vero che il caso della pornostar messa tacere a suon di dollari dall’uomo più potente d’America attizza la morbosità dei media e solletica le giurie, ma un’incriminazione formale non può fondarsi sui dettagli piccanti o comportamenti inopportuni. Ci vogliono i fatti. Tutto dipende da come Trump e la sua compagnia, la Trump Organization, hanno gestito il “rimborso” di 130mila dollari versato dall’avvocato Michael Cohen alla signora Daniels. Apparentemente i registri dell’azienda sono stati falsificati, ma la falsificazione di documenti privati è un illecito certamente sanzionabile, non un reato. Se quell’illecito costituisse invece una violazione della legge elettorale secondo il teorema che il silenzio di Stormy Daniels ha favorito la corsa trionfale di Trump alla Casa Bianca, l’incriminazione dell’ex presidente diventerebbe automatica.

Oltre a negare che il suo cliente abbia avuto mai avuto incontri intimi con la pornostar, Tacopina sostiene che Trump ha approvato il pagamento «per proteggere la sua famiglia da false accuse», accusando a sua volta la donna di «estorsione». Invitato alla celebre programma mattutino di Abc Good morning America si è scagliato contro il procuratore Bragg: «Sta distorcendo le leggi per incastrare il presidente Trump. La campagna elettorale non c’entra nulla. Sono stati pagati tanti soldi perché le false accuse di Stormy Daniels lo avrebbero messo in imbarazzo. Nella sua condotta non c’è alcun reato».