Eccellente era eccellente, ma non ha fatto in tempo ad essere detenuto perché il 17 aprile scorso si è ucciso mentre la polizia stava andando a prenderlo.

E’ così che, a due mesi dal drammatico mancato arresto dell’ex presidente peruviano Alan Garcia - l’ennesimo personaggio politico famoso del Perù a (non) finire in manette – le accuse da lui lanciate dalla lettera in cui spiega perché ha deciso di uccidersi è riuscita a spalancare, con la forza dello scandalo, lo spazio a una pubblica discussione, per quanto avvelenata, su quali limiti debbano porsi i magistrati inquirenti nell’uso della prigione preventiva durante le inchieste.

Nel paese andino, che viene da un periodo economicamente effervescente con grandi opere pubbliche avviate e capitali esteri investiti, una indagine giudiziaria sulla corruzione di amministratori pubblici da parte delle imprese ha terremotato la politica locale e spiccato mandati d’arresto per gli ultimi quattro presidenti della repubblica.

Il mercoledì della Settimana santa Alan Garcia - due volte presidente della repubblica ( 1985- 1990, 2006- 2011) – aspettava a casa di essere portato in carcere con accuse di corruzione. Era indagato per le concessioni pubbliche relative alla linea 1 della metropolitana di Lima. Secondo le ipotesi degli inquirenti, vari membri del suo secondo governo avrebbero intascato 24 milioni di dollari di cui ci sarebbe traccia in conti segreti ad Andorra e lui stesso avrebbe mantenuto spese superiori al suo patrimonio personale.

Di recente aveva chiesto asilo politico in Uruguay, lamentando una persecuzione giudiziaria nei suoi confronti. Il governo di Montevideo l’aveva rifiutato perché, così recita la motivazione resa pubblica, «in Perù il potere giudiziario è indipendente dal governo e quindi non si può considerare nessuno perseguitato per ragioni politiche».

Pochi minuti prima che i poliziotti si presentassero a casa sua Alan Garcia ha tirato fuori dalla cassapanca accanto al suo letto una pistola Colt e si è sparato alla tempia destra. In una lettera, resa pubblica dalla figlia Lucía, ha scritto d’aver scelto di suicidarsi “in disprezzo ai nemici», descrive gli errori dell’inchiesta e afferma: «Non ci sono conti segreti, né tangenti”. Altre testimonianze raccontano la sua furia contro l’uso spregiudicato da parte della prigione preventiva per spingere gli arrestati ad ammettere colpe proprie e altrui.

Due giorni dopo il suicidio di Garcia, in uno dei rivoli peruviani della stessa inchiesta centrata sulle mazzette milionarie della Odebrecht - la grande impresa di costruzioni brasiliana che ha distribuito, secondo le ammissioni di alcuni suoi dirigenti, una marea di soldi a vari governi latinoamerica-ni cominciando da quello brasiliano ( il magistrato mediaticamente più esposto in Brasile è stato Sergio Moro, nominato superministro della Giustizia e degli Interni dall’attuale presidente d’ultradestra Bolsonaro dopo aver fatto arrestare in piena campagna elettorale il candidato favorito alla presidenza della repubblica, mossa senza la quale Bolsonaro non sarebbe mai arrivato al governo e Moro nemmeno)- è stato mandato in cella Pablo Kuczynsky, ex presidente ottantunenne ricoverato da tempo per problemi di salute.

Solo nel 2018 sono stati aperti in Perù 4225 dossier per reati di corruzione, con 2059 autorità locali come imputati, tra i quali 57 governatori ed ex governatori regionali, 344 sindaci ed ex sindaci e 1658 altri amministratori pubblici.

All’inizio di quest’anno il procuratore generale Pedro Chávarry ha tentato di sottrarre l’inchiesta che stava montando ai due principali inquirenti, il coordinatore Rafael Vela e il suo braccio destro José Domingo Pérez. Iniziativa rivelatasi per lui un boomerang: una manifestazione di protesta cittadina ha fatto talmente scalpore da costringerlo a riaffidare l’inchiesta ai due giudici e a dare le dimisisoni.

Dopo aver visto l’ex presidente Alejandro Toledo scappare negli Stati uniti per tentare di sottrarsi all’arresto, l’ex presidente Ollanta Humala e sua moglie Nadine Herrera fare tre anni di galera con l’accusa di aver ricevuto da Odebrecht tre milioni di dollari, il capo dell’opposizione parlamentare, Keiko Fujimori, estremista di destra figlia dell’ex dittatore Alberto Fujimori, incarcerata con accuse di lavaggio di denaro, Alan Garcia suicida e Kuczynsky arrestato, l’attuale presidente della repubblica, Martín Vizcarra, ha preso il coraggio a due mani e ha, per pochi minuti, deposto la bandiera dell’appoggio fideistico al pool di magistrati inquirenti e ha osato articolare una timida argomentazione in difesa del principio della presuzione d’innocenza. Poche e misurate parole, le sue, sufficienti però a riportare a galla nel dibattito pubblico alcuni fatti che raccomandano l’uso della facoltà del dubbio.

Tra questi, un dettaglio: Odebrecht ha firmato con gli inquirenti un accordo di collaborazione. In questo testo l’azienda riconosce il pagamento di tangenti in quattro gare d’appalto, si impegna a portare le prove dei reati commessi e a pagare un risarcimento civile di 185 milioni di dollari in 15 anni oltre ad altri 137 milioni di dollari come multa d’ingresso qualora voglia partecipare a nuove gare d’appalto pubbliche. In cambio la magistratura peruviana rinuncia a processare i rappresentanti dell’impresa che hanno accettato di accusare terze persone di aver ricevuto dato mazzette. E’ criticabile quest’accordo? Ci si può fidare delle accuse di qualcuno che addita qualcun altro come colpevole e riceve in cambio l’immunità giudiziaria? E’sano per una società affidare una rivoluzione politica alle mani di un pool di magistrati considerandoli al di sopra del Diritto? Domande che non hanno avuto finora spazio possibile nel dibattito politico latinoamericano perché chiunque osi formularle viene ovunque additato alla pubblica opinione come amico dei corrotti e che ora, timidamente, fanno capolino, a sorpresa, dal Perù.