«Noi diamo la fiducia» al governo «oggi ma attendiamo delle risposte». Durante le dichiarazioni di voto alla Camera sul decreto Aiuti, il grillino Luigi Gallo ribadisce che quella del Movimento 5 Stelle non è una resa ma una tregua. Con delle condizioni ben precise. «La nostra fiducia al governo è sui miliardi che il decreto stanzia», scandisce il deputato pentastellato, prima di ricordare a Mario Draghi la lista della spessa consegnata il giorno prima da Giuseppe Conte a Palazzo Chigi: «Ci aspettiamo misure a lungo termine, ci aspettiamo il salario minimo e la conferma del reddito di cittadinanza senza se e senza ma e del superbonus. Sono punti per noi fondamentali per proseguire questa esperienza di governo. Per noi sono condizioni imprescindibili», spiega.

Nonostante l’ok al provvedimento, arrivato con solo 15 assenti ingiustificati del M5S, la guerriglia grillina continua senza sconti. O almeno è questo il messaggio che il partito dell’ex premier vuole veicolare all’esterno. Anche perché già da due giorni circolano troppe voci su un possibile bluff di Conte. L’avvocato, è la convinzione di buona parte degli eletti, non ha in realtà alcuna intenzione di sfilarsi dalla maggioranza, ma ha tirato troppo la corda per poter pensare di tirarsi indietro senza andare incontro a una ribellione dell’ala ortodossa, già insospettita dalla tempistica comunicata dal leader al presidente del Consiglio: risposte entro fine luglio. «Ma come?», è il ragionamento dei duri e puri, «il dl Aiuti arriverà al Senato entro il 16 luglio, non alla fine del mese. Significa che ci chiederà di votare la fiducia al buio?».

La preoccupazione degli anti draghiani non fa una piega e corrobora le convinzioni di chi ritiene che Conte si sia cacciato in un vicolo cieco. Perché a Palazzo Madama non sarà possibile aggirare l’ostacolo, come avvenuto alla Camera, scorporando la fiducia dal voto sul provvedimento.

Al Senato sarà dentro o fuori. Il sì al decreto corrisponderà alla fiducia. Un passaggio indigesto a troppi parlamentari della “Camera alta” galvanizzati in questi giorni dai toni incendiari utilizzati dall’ex premier. Difficile prevedere cosa accadrà realmente in Aula, ma il problema, per il leader 5S, è che il grosso dei duri e puri siede proprio tra i banchi di Palazzo Madama.

«Quando» il provvedimento «arriverà al Senato vedremo», continuava a ripetere ieri l’avvocato, convinto che «la nostra battaglia contro l’inceneritore a Roma, non è solo per l’impianto in sé. È la logica che è sbagliata, noi dobbiamo contrastare il principio dell’incenerimento indiscriminato dei rifiuti». E come potrebbero allora i senatori sostenere un decreto che contiene norme contrarie alla storia e all’anima ecologista del Movimento?

Giuseppe Conte è convinto di poter gestire la situazione di lotta e di governo, tenendo a bada l’ala radicale del partito, grazie a qualche concessione che arriverà da Draghi. L’impresa si presenta assai complicata, ma il capo grillino sa che in ballo non c’è solo il governo. L’alleanza col Pd, costruita con tanta fatica, salterebbe immediatamente in caso di appoggio esterno del Movimento. Senza contare quell’esercito di governisti silenti rimasti ancora nelle file del partito e pronte a lasciare la nave in caso di strappo. Sono i moderati contro cui, ancora ieri, tuonava il senatore Daniele Pesco. «Fora di ball», ha scritto il senatore su Facebook, rivolgendosi ai suoi compagni di partito. «Ieri (l’altroieri, ndr) in assemblea M5S congiunta Camera, Senato ho fatto presente che se ci fossero ancora dei colleghi ' indecisi', magari lusingati dai colleghi scissionisti, a lasciare il Movimento 5 Stelle, sarebbe utile che lo facessero, gentilmente, il più presto possibile». Un invito a accomodarsi all’uscio che rende bene il clima di tensione dentro al partito. Una guerra tra due fazioni ormai inconciliabili. Una guerra che Giuseppe Conte è convinto di poter governare. Anche il 16 luglio, quando il dl Aiuti dovrà superare la prova di Palazzo Madama.