Sono un abbonato del “Dubbio”, che leggo con interesse ed apprezzo per molte coraggiose prese di posizione sul tema giustizia. Da qualche tempo, ho notato la sistematica attenzione che riservate alla questione “carceri”. Non c'è dubbio che l'argomento sia spinoso, complesso e, sicuramente, di interesse pubblico, sicchè è bene parlarne e discuterne. L'impressione che ricavo, però, compendiando e soppesando a braccio gli articoli pubblicati è che abbiate messo in moto una campagna per l'abolizione del carcere. Non sto a citarvi titoli e autori che avete tutti in memoria, ribadisco che, valutando a peso quanto andate pubblicando, ho la netta sensazione che stiate spingendo per il superamento dell'istituto della carcerazione. Attenzione: non è solo una mia opinione, altri colleghi vicini e lontani, con cui ho interloquito in proposito, hanno espresso identico parere. Ora, voi mi risponderete che non è contro l'istituzione che combattete, ma contro le condizioni di vita che il carcere impone ai suoi inquilini. Doppia attenzione: da come state picconando, pietra su pietra, le mura carcerarie, attaccandone ogni criticità, la conseguenza è una sola: crolla il carcere. Lasciate che lo dica un penalista che, da cinquant'anni, batte i marciapiedi tra il palazzo di giustizia e la casa circondariale: primo, il carcere è necessario; secondo, il carcere non è un albergo; terzo, il carcere non ha sostituti. In conclusione, se la vostra lotta è diretta ad un “ miglioramento” delle condizioni di vita intracarcerarie, sono siamo al vostro fianco, se continuate in questa, che altrimenti non so definire se non forsennata, campagna di demolizione dell'istituzione carceraria, sono siamo contro di voi. Gradita replica per approfondire il tema. Firmato: Giorgio Coden- Avvocato in Pordenone *** Carissimo avvocato Coden, la ringrazio per la pacatezza e l’intelligenza con cui ha espresso la sua opinione. In questi due decenni scarsi di giornalismo, mi sembra di aver capito che il carcere è il luogo fisico e morale dentro il quale convergono almeno due diritti: quello del detenuto che ha il diritto di vivere in un posto umano e non degradante, che possa inoltre rappresentare la spinta per un reinserimento nella vita sociale; e quello delle vittime, dei loro familiari, che hanno diritto a un risarcimento morale. Ora mi chiedo, e le chiedo: davvero lei crede che i nostri istituti di pena garantiscano questi due diritti? Davvero le carceri permettono ai cittadini detenuti di iniziare un percorso di reinserimento effettivo nella comunità? E quanto, quelle stesse carceri, rispondono alla esigenza delle vittime di vedere risarcito il torto subito senza che questo diventi mera vendetta? Insomma, caro avvocato Coden, per un ragionamento sulle carcere partirei dalla ammissione - mi pare di capire comune - che i nostri istituti di pena sono luoghi illegali e degradanti che hanno assoluto bisogno di una riforma e di un ripensamento radicale. Si tratta di una “istituzione totale” nata nell’800 che in nessun modo risponde alle evoluzioni delle società moderne. Per quel che riguarda la sua sensazione che il Dubbio abbia avviato una battaglia per l’abolizione del carcere, mi lasci dire che siamo consapevoli della brutale necessità del carcere, ma non per questo rinunciamo all’idea di un futuro senza sbarre. E’ la nostra utopia e a tal proposito la lascio con quella meravigliosa frase di Galeano che ben si addice a ciò di cui parliamo: “Lei (l’utopia) è all'orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l'utopia? Serve proprio a questo: a camminare.” P.S. Spero che questo breve scambio di battute non si esaurisca qui e che lei, caro avvocato Coden, come chiunque altro, voglia continuare a instillare “dubbi”. In fondo il dubbio è la nostra missione… Davide Varì, direttore del Dubbio