L’ economista Giulio Sapelli considera «una strada obbligata» la manovra economica del governo e sui rapporti politico economici con Pechino e Washington è netto: «Meloni deve sconfessare il memorandum firmato dal governo gialloverde con la Cina».

Professor Sapelli, come giudica la manovra approvata dal governo?

Direi che la strada era obbligata. In assenza di un intervento dell’Ue, che non ha ancora deciso cosa fare, visto che le proposte sul price cap lette fin qui complicherebbero ancora di più la questione facendo riferimento non solo alla borsa di Amsterdam ma anche a quella di Transmed, l’esecutivo non poteva che mettere due terzi della Finanziaria sul caro energia. I governi degli Stati membri sono abbandonati a loro stessi e ciascuno risponde in base a ciò che le regole europee rendono possibile. E così, ad esempio, la Germania ha messo 200 miliardi, mentre noi abbiamo scelto la strada dei sussidi alle imprese.

Crede che questa strategia permetterà di tenere i conti in ordine, nonostante le sirene recessive per il 2023?

Non è una questione di strategie ma di vie obbligate. Nel lungo periodo abbiamo scelto una strada ragionevole, cioè quella di aumentare le quantità di energia prodotte, ma sappiamo bene che per fare questo ci vogliono almeno quattro o cinque anni. Il governo ha fatto una politica di sussidi e la cosa buona è che sta diminuendo quelli che non sono serviti a nulla o hanno solo favorito i ceti alti, come il Superbonus. Per mesi, anzi anni, è stata portata avanti una politica “all’Argentina”, che favorisce assistenzialismo e classi alte, piuttosto che fare, ad esempio, un piano di ristrutturazione delle scuole o di messa in sicurezza del territorio. Non voglio speculare su Ischia, ma siamo stati in mano di irresponsabili e incompetenti.

In cosa è diverso il governo Meloni da quelli precedenti?

Beh, ora siamo nelle mani di un governo politico, che per ragioni di necessità continua su certi ambiti la linea Draghi. Ma devo dire che c’è uno scostamento positivo da quella politica, subito registrato da Confindustria, che infatti si è schierata contro. Il governo è più attento si creano buoni cittadini obbligandoli a fare qualcosa, come avere il Pos, ma facendo una politica che li induca a esserlo.

Alle piccole imprese, agli artigiani e al lavoro autonomo. E infatti è stato criticato dall’establishment, cioè da Pd e Confindustria. Questi settori hanno invece dimostrato resilienza sia durante il covid che durante la guerra e quindi è giusto premiarli, non come ha fatto il governo Draghi, che è stata una sciagura.

Che voto dà a queste prime settimane di governo? Come giudica le prime mosse in campo internazionale di Meloni, dopo i bilaterali del G20 con Cina e Stati Uniti?

Diciamo tra il sei e mezzo e il sette.

Nella manovra c’è un principio di flat tax e una riforma delle pensioni per un solo anno. Bandierine o primi passi di una nuova politica economica?

Possono essere una strategia, sempre che non si faccia come Liz Truss in Gran Bretagna. Ci sono state azioni positive sul cuneo fiscale, ma ora occorre una riforma dei codici di legislazione fiscale. Altrimenti sono misure che servono a poco. Creano solo nemici al governo e non producono gli effetti che dovrebbero cominciare ad innescare. Insomma, bisogna diminuire le tasse su imprese e lavoro, ma non in maniera tale da perdere la fiducia sui mercati.

È confermata la caduta dell’obbligo del Pos per pagamenti sotto i 60 euro. Che ne pensa?

Io sono favorevole all’uso del contante, perché la criminalità non passa certo da queste cose. È l’obbligo che stride. Non sconfessare il memorandum firmato dal governo gialloverde con la Cina, che fu il riflesso dell’accordo sui vescovi tra Cina e Vaticano. Poi deve rinsaldare i rapporti atlantici che mi pare siano buoni e duraturi non soltanto con i repubblicani ma anche con i democratici. Sono quasi quattro anni che il posto da ambasciatore americano a Roma è vacante. È una cosa gravissima.