Una bordata micidiale quella che la Corte suprema britannica ha sferrato contro il premier Boris Johnson, accusato di aver chiuso «illegalmente» il Parlamento fino al 14 ottobre. Di fatto il più importante organismo giuridico d’oltremanica accusa “Bo- Jo” di aver compiuto un vero e proprio abuso per sterilizzare il dibattito parlamentare sulla Brexit prevista per il 31 ottobre peraltro senza alcun accordo con l’Unione europea ( il temuto no- deal).

Il parlamento britannico potrà dunque essere riconvocato «il più presto possibile», ha sottolineato la Corte: «Spetta al Parlamento, e in particolare ai presidenti delle due Camere, decidere come procedere. A meno che non vi siano regole parlamentari di cui non siamo a conoscenza, possono adottare misure immediate per consentire a ciascuna Camera di essere riconvocata», si legge nella sentenza. A indebolire ulteriormente il premier il fatto che la decisione sia stata presa all’unanimità dal collegio degli 11 giudici.

Lo speaker della Camera John Berkow, che nelle ultime settimane aveva ingaggiato un ruvido corpo a corpo con Johnson, non ha perso tempo annunciando la ripresa dei lavori per stamane alle 11 ( 12 ora italiana): «Saluto la decisione della Corte che ha stabilito il diritto- dovere del Parlamento di riunirsi in un momento così critico per vigilare sull’esecutivo e sui ministri», ha sottolineato Berkow. Non ci sarà il consueto “question time” del mercoledì perché il premier è attualmente a New York per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ma i suoi ministri dovranno rispondere a diverse interrogazioni.

Durissimo il commento del leader dell’opposizione, il segretario laburista Jeremy Corbyn che chiede a gran voce le dimissioni di Johnson in un intervento salutato dagli applausi dei delegati Labour riuniti nella Conferenza annuale del partito in corso a Brighton: «Ha compiuto un abuso di potere, è del tutto inadeguato a ricoprire il suo ruolo, ora può fare una sola cosa: diventare il premier dal mandato più breve della storia britannica e tornarsene a casa».

Malgrado la disfatta di ieri e la situazione di imbarazzo senza precedenti in cui ha messo la 93enne regina Elisabetta ( la sovrana ha firmato il provvedimento che chiudeva il Parlamento), Johnson fa sapere che non ha alcuna intenzione di rassegnare le dimissioni: «Non sono d’accordo con la decisione della Corte suprema anche se sono costretto a rispettarla, andrò avanti con il mio lavoro con o senza il Parlamento per uscire dall’Ue il 31 ottobre qualsiasi cosa accada».

Ma allo stesso tempo ammette che la sentenza di ieri complicherà, e non di poco, la sua strategia: «Sarò onesto con voi, la Brexit non è resa più facile da questo genere di cose in Parlamento o nei tribunali. Ovviamente ottenere un accordo non sarà facile su queste basi». Il prossimo scoglio per Bo- Jo riguarda la legge anti no- deal voluta e ottenuta dalle opposizioni che non può ignorare come aveva invece evocato a più riprese negli ultimi tempi. In tal caso Johnson rischierebbe persino l’arresto, uno scenario che risulta davvero difficile da immaginare. Ma anche l’incredibile sequenza di eventi che si è creata dal 23 giugno 2016 ( data della vittoria del “leave” al referendum) era difficile da immaginare. E ormai per gli osservatori smaliziati del grande caos politico britannico nulla sembra impossibile.