E adesso chi controllerà il Movimento 5 Stelle? Vito Crimi, certamente, sarà il nocchiero del grillismo fino al congresso, ma le chiavi dell’intero carrozzone pentastellato restano tuttora in mano ai due soli “rifondatori” del M5S, gli unici titolari dell’associazione che regola la vita del partito: Luigi Di Maio e Davide Casaleggio. L’ex capo politico e il figlio di Gianroberto hanno legato i loro destini politici il 20 dicembre 2017, quando si presentano davanti a un notaio milanese per dar vita a un nuovo contenitore politico. Ma ora che il ministro degli Esteri ha compiuto il tanto atteso passo indietro, quel patto potrebbe vacillare.

Perché se Casaleggio continua a rimanere fornitore esclusivo dei servizi “telematici” che determinano il funzionamento politico della vita pentastellata, Di Maio potrebbe ritrovarsi improvvisamente in un angolo. Per questo, prima delle dimissioni, il giovane leader di Pomigliano ha atteso la trasformazione definitiva del movimento in partito attraverso la nomina dei facilitatori nazionali e regionali.

Uomini e donne in parte scelte direttamente dal leader a cui tra l’altro sarà affidato il compito di stilare, insieme al reggente Crimi, le regole del gioco congressuale. Di Maio, in altre parole, ha lasciato in dote al Movimento un pacchetto di dirigenti ancora a lui fedeli. Come si è premurato di fare, del resto, lo stesso Casaleggio, inserendo tra i facilitatori figure uscite direttamente dalla “scuola Rousseau”: Enrica Sabatini, una dei quattro soci dell'associazione che gestisce la piattaforma del M5S, responsabile del coordinamento e agli affari interni, e la senatrice Barbara Floridia, responsabile e- learning di Rousseau e adesso della formazione e del personale del partito. Due nomine pesanti che attirarono su Di Maio l’ira di molti parlamentari, stanchi del condizionamento eccessivo sul partito esercitato dal figlio del fondatore. Perché se c’è una critica che in questi ultimi anni ha accomunato tutti i variegati oppositori interni di Di Maio è proprio la scarsa trasparenza decisionale dovuta al ruolo di Casaleggio. Un gruppo di senatori l’ha pure messo per iscritto su un documento in 5 punti in cui si definisce Rousseau «un corpo estraneo» al Movimento e si invoca un ridimensionamento del peso caleggiano. E difficilmente i malpancisti accetteranno di non porre la questione agli Stati generali di marzo, facendo esplodere tutte le contraddizioni di un movimento orizzontale e verticista allo stesso tempo. Per sopravvivere politicamente Di Maio potrebbe decidere di infilarsi dentro quelle contraddizioni e assicurarsi un “salvacondotto” per tornare in sella. In parte si tratterebbe di proseguire sulla strada già tracciata poco più di dieci giorni fa quando, davanti alle rumorose proteste degli eletti, sceglie di cambiare le regole sulle restituzioni, escludendo Rousseau dalla destinazione delle eccedenze in caso di fine anticipata della legislatura: sacrificare le casse della piattaforma per non finire stritolato dagli oppositori. E potrebbe essere ancora questa la merce di scambio al prossimo congresso. Anche se, fa notare l’avvocato dei dissidenti, Lorenzo Borrè, «nel Movimento 5 Stelle non sono previste scalate o “colpi di Stato”, nemmeno se determinati da un congresso comunque non previsto dallo statuto pentastellato. E in ogni caso, qualsiasi decisione dovrebbe essere ratificata poi in Rete. Persino la fine di Rousseau dovrebbe passare da Rousseau, un paradosso senza via d’uscita».