La guerra è un tormento nella vita di Masi Nayem, avvocato conosciuto e stimato in tutta Kiev. La prima volta le bombe gli sono arrivate sull’uscio di casa a 5 anni, in Afghanistan. Nel suo paese di origine ha visto cose terribili, sua madre è morta lì. A 7 anni si è trasferito in Ucraina con suo padre e due fratelli. Ha studiato e vissuto nella capitale, laurea in legge. Nel penale - dice chi lo conosce - non ha rivali. Nel 2015 lo hanno chiamato per la prima volta a combattere, nell’Est. E lo scorso febbraio ha svestito di nuovo la toga per mettere la divisa. Si è occupato soprattutto di cyber security, nelle forze speciali dell’intelligence. Finché un mese fa non ha perso l’occhio destro: una mina è esplosa sotto la sua auto con a bordo altri tre militari. Quando lo raggiungo all’ospedale nella periferia di Kiev, Feofania, gli manca almeno un altro mese di convalescenza. Ma non gli manca lo spirito, è forte. E allora gli chiedo se tornerà a fare l’avvocato quando quest’incubo sarà finito. «Non credo che potrò più leggere così tanto, spero solo di stare bene, ora ho un po’ di tempo per rifletterci su - dice -. Il tempo in guerra scorre velocissimo, non hai modo di fermarti a pensare. Le persone hanno solo paura». E tu, hai avuto paura? No, sono solo stanco. Sono stanco del caos, della guerra. Che continua ad arrivare, ancora e ancora, nella mia vita. Dov’eri il 24 febbraio, quando è cominciato l’attacco? Ero a letto, insieme al mio cane Barmik, e ho realizzato cosa stesse succedendo. Stava succedendo di nuovo. Tutti i miei piani sarebbero andati al vento. Volevo sviluppare il mio studio legale (lo studio Miller, ndr), avevo un progetto chiaro, delineato in tutti i dettagli. Eravamo pronti, pronti a lavorare duro. Ma è saltato tutto. Perché hai deciso di combattere ancora? Mi hanno chiamato, e sono dovuto andare. Non sono il tipo di uomo che ama le armi. Ma quando fai l’avvocato, in Ucraina, è diverso dal fare il giudice o il poliziotto. Devi conquistarti la fiducia delle persone. Devi meritare rispetto. E tornerai alla tua professione, una volta guarito? Non so se potrò leggere così tanto con un solo occhio. Forse potrò seguire soltanto alcuni casi, e farmi aiutare dai miei colleghi. Siamo 28 in tutto nel nostro studio. Potremmo lavorare insieme, costruire insieme la strategia. O almeno mi piace pensarla così. Per la mia salute mentale ho bisogno di credere che succederà, che la mia vita tornerà alla normalità. Cosa ti spaventa di più del futuro? Ho paura che le persone non mi accettino. Che nessuna donna vorrà più stare con me. Quando mi guardo allo specchio provo paura. Ho degli attacchi di panico. So che il mio occhio non tornerà più. E lo sto ancora elaborando. Mi chiedo se valga ancora la pena vivere. E cosa ti consola? Il mio cane, è lui che mi è corso dietro quando sono partito per la guerra. È lui ora ad aspettarmi. È lui che mi ha insegnato ad amare. Cosa speri ti riservi ancora il futuro? La qualità della mia vita è cambiata. Non potrò più andare in motocicletta. Mi piaceva correre, non potrò più farlo. Ma tutto sommato ho 38 anni, forse è il caso di rallentare un po'. È la prima volta che perdo un pezzo del mio corpo. E ogni volta che guardo attraverso un solo occhio, mi chiedo: perché sono andato in guerra? Quale risposta ti dai? Ho tre risposte, ora che ho molto tempo per riflettere. Bisogna combattere perché è un dovere, innanzitutto. In più non non ho famiglia, ho mia sorella e mio fratello, certo. Ma non ho figli, né moglie. Perciò se non vado io, chi andrà? Ho due gambe, due braccia, devo andare - mi dico. Quando vedi ragazzi tanto più giovani di te al fronte, ti rendi conto di quanto sia ingiusto. E la terza ragione? Perché è più facile. In che senso? È più facile per se stessi, per la propria coscienza, quando tutti ti credono una brava persona. Un eroe. E tu ti senti un eroe? No, no davvero. Quando mi chiedono cosa mi aspetto dalla guerra, qual è per me una buona "performance", spiego che non si tratta di uccidere quanti più russi possibile. Ma è un fatto: bisogna uccidere, sistematicamente. Perché solo questo potrà fermare la guerra. Noi dobbiamo difenderci, sono loro ad ucciderci. È questa la nostra regola: è la mia casa, devo difenderla. Se tornassi indietro, partiresti? Sì, ma mi faccio delle domande. Per esempio? Mi pongo il problema della mia famiglia, di mia sorella e mio fratello, che soffrirebbero della mia morte. Mi distrugge l'idea di lasciare il mio cane. Cosa ricordi del giorno dell'incidente? La notte prima stavo guardando un film francese, sul telefono. Nel 2015 avevo un solo film con me, che ho guardato a ripetizione, per 9 mesi. Così ne volevo vedere uno nuovo. È l’ultimo che ho visto con entrambi i miei occhi. Poi ho attraversato il bordo lago in macchina insieme ad altri tre uomini. È esplosa una mina, ancora non sappiamo perché fosse lì. L’autista è morto. Un altro ha perso gli altri. E allora ho capito di essere fortunato.