Martedì ha ricevuto il presidente maltese. Mercoledì è stata la volta di Emmanuel Macron. Ieri del presidente tedesco Frank- Walter Steinmeier. La visita di Macron non era né di Stato né ufficiale, ma di tipo privato, niente inni nazionali, niente bandiere sventolanti sul Torrino, niente presentat’arm. E cosí nella nota quirinalizia sul colloquio a quattr’occhi di Sergio Mattarella con il presidente francese non c’era il ministro degli Esteri, del resto impegnato con l’orologio azero Elmar Mammadyarov.

Davvero una fortunata coincidenza, che il Quirinale abbia potuto ricucire rapporti di storica amicizia tra i due Paesi, senza la presenza di chi come Luigi Di Maio aveva insultato la Francia in ogni modo, e sino al punto da costringerla a richiamare in patria l’ambasciatore, come mai accaduto dai tempi della Seconda Guerra mondiale.

Si tratta ovviamente di molto più che non una semplice ricucitura con la Francia, non essendosi mai interrotti del resto i buoni rapporti tra Mattarella e Macron, che durante la più inspiegabile e contorta delle già mai semplicissime crisi di governo italiane aveva fatto pubblicamente sapere “ho fiducia in Mattarella”.

Si tratta di ristabilire la continuità in politica estera, così importante per una ( ormai quasi) media potenza che per dispiegare le proprie potenzialità ha bisogno di rapporti multilaterali come dell’ossigeno. Si trattava - questo raccontano le tre visite di capi di Stato al Quirinale- di rompere non solo simbolicamente il pesante isolamento internazionale in cui 14 mesi di doppio populismo al governo avevano cacciato il Paese. Si trattava di farlo in fretta, poiché mancano poche settimane e poi saranno pienamente operativi i poteri della nuova Europa, e perché sono in agenda vertici internazionali a La Valletta e a Berlino rispettivamente sui flussi migratori e sulla Libia.

Dunque, si riparte dal Trattato del Quirinale - la denominazione fu di Macron- ovvero l’intesa bilaterale con la Francia con la quale l’Italia si proponeva di stringere l’alleanza in modo che fosse possibile reinserirsi nell’asse Parigi- Berlino, lungo cui corre la vera leadership europea: Roma quel ruolo lo aveva sempre avuto (“Perché l’Italia ha sempre fatto da mediatore tra Germania e Francia” spiegò con la consueta chiarezza Romano Prodi una volta), ma si era appannato sul finire del governo Gentiloni, e nei 14 mesi di governo 5Stelle Lega Roma era stata addirittura sostituita da Madrid.

Per rimediare era stato appunto congegnato il Trattato del Quirinale, finito in fondo ai cassetti tra un insulto a Macron di Salvini e una visita di Di Maio ai Gilet Jaunes, ala casseurs.

Ora si stringerà anche un’intesa simile, bilaterale, con la Germania. La visita di Steinmeier al Quirinale era di primo livello, ovvero una visita di Stato, e dunque non solo c’era anche Luigi Maio, ma soprattutto si è tenuta alla fine una conferenza stampa congiunta. E Mattarella è stato chiarissimo: i rapporti con Berlino sono “al massimo livello di eccellenza”, l’interscambio commerciale che la Germania ha con il Lombardo- Veneto vale quanto tutto il Giappone o il Brasile ( viene di nuovo in mente Prodi, “la Lombardia è il Bad Württemberg italiano”), ma “nella situazione economica data, messa a dura prova dalla Brexit e dalle politiche protezioniste, la politica economica deve stimolare i mercati interni”.

Le relazioni strette con Francia e Germania, e l’Italia che testimonia di voler tornare protagonista nell’Unione europea, servono a tener concentrata l’attenzione sull’obiettivo: ottenere dalla Ue lo scorporo della spesa per investimenti ( nel settore “verde”). È l’unica e vera possibilità di far ripartire la crescita - che a sua volta è la vera possibilità per abbattere il mostruoso debito pubblico italiano. Ed è quel che non si riuscí a fare ai tempi della crisi greca, con le istituzioni europee prigioniere del rigorismo tedesco.

Oggi, pagato il prezzo dei populisti e dei sovranisti antieuropei che dilagano in mezzo Vecchio Continente mettendone alle corde i valori e stressando il modello di democrazia, e con la Germania che rischia la recessione proprio per non aver investito nemmeno in parte l’enorme surplus che ha accumulato negli anni, bruciandolo sull’altare del rigore e della propria potenza politica, il vento è cambiato: sia Ursula von der Leyen che Mario Draghi ( e la prossima presidente della Bce Lagarde) hanno sollecitato il cambio di passo.

Al centro degli incontri, compreso quello con il presidente maltese, anche il tema degli sbarchi dei migranti: Macron ha esplicitamente detto che sarà “un meccanismo automatico europeo” ( dunque non una procedura intergovernativa, e come tale aleatoria) a gestire la redistribuzione. Mattarella ha chiesto che analogo meccanismo europeo gestisca anche i rimpatri, che sia l’Europa ad averne l’onere, di chi non ha diritto alla richiesta di asilo nei Paesi Ue.

I presidenti di Francia e Germania hanno poi visto il presidente del Consiglio, in modo che le linee generali di intesa potessero giungere a più concreti riscontri. Hanno avuto riunioni e colazioni o pranzi con il Conte 2. Si tratta naturalmente dello stesso Giuseppe Conte che guidava il governo Conte1: la garanzia che la politica estera italiana è seriamente tornata alla continuità non poteva che darla Sergio Mattarella.