Mentre il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, è in visita in Israele, per la prima volta dall’inizio della guerra con Hamas il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha preso pubblicamente la parola a Beirut in un discorso molto atteso per l’eventuale apertura di un secondo fronte per Israele a nord, con l’intervento diretto dell’Iran nel conflitto.

Ma la posizione assunta dal leader del movimento libanese filo-Teheran sembra essere quella attendista - mantenendo la pressione sul confine ma senza avviare un’escalation su larga scala - benché condita da assicurazioni sulla partecipazione dell’”Asse della Resistenza” e da minacce allo Stato ebraico e agli Stati Uniti. “Tutte le opzioni” però “sono solo sul tavolo”, ha avvertito Nasrallah, e l’evolversi della situazione dipenderà dalle sorti di Hamas a Gaza e da eventuali “azioni di Israele contro il Libano”.

Il massiccio attacco di Hamas a Israele il 7 ottobre è stata “un’operazione al 100% palestinese” di cui gli alleati regionali non sapevano nulla: “La sua decisione e attuazione da parte dei palestinesi, e il fatto che nessuno ne fosse a conoscenza, dimostra che questa battaglia è interamente palestinese”, ha sostenuto Nasrallah, sottolineando che la pianificazione è stata “segreta e di successo” e li ha colti di sorpresa. Nonostante ciò, Hezbollah si è subito schierato al fianco del Movimento islamico e “dall’8 ottobre conduce una vera e propria battaglia” sul fronte libanese, tenendo occupato parte dell’esercito israeliano e allentando così la pressione sul fronte di Gaza.

“Solo chi è effettivamente presente alla frontiera può sentire”, ha puntualizzato Nasrallah, indicando che i suoi miliziani lanciano attacchi mirati che hanno costretto Israele a reindirizzare sul fronte nord “gran parte delle forze che dovevano essere utilizzate per attaccare Gaza”. Non solo, gli israeliani evacuati dalle comunità del sud e del nord del Paese “esercitano pressioni sul piano morale ed economico” sul governo.

Nasrallah ha avuto parole anche per i Paesi arabo-islamici, esortandoli a lavorare per un cessate il fuoco ma soprattutto a interrompere le relazioni diplomatiche con Israele. “Le dichiarazioni e le denunce non bastano. Le relazioni devono essere interrotte, il petrolio deve essere tagliato e le esportazioni devono essere fermate”, ha sollecitato. Un riferimento non solo a Giordania ed Egitto, ma anche a Emirati, Bahrein e Marocco che nel 2020 hanno normalizzato i rapporti con lo Stato ebraico.

Ma per il leader del Partito di Dio, i veri “responsabili” di quanto sta avvenendo sono gli Stati Uniti, di cui Israele è un mero strumento, ed è per questo che solo loro “possono fermare l’aggressione” alla Striscia “se vogliono impedire una guerra regionale”. Attaccare Hezbollah - ha aggiunto - sarebbe per Israele “il più grosso atto di stupidità e follia”: il movimento libanese, nonostante le minacce ricevute, è pronto a rispondere. “Dallo scoppio della guerra, gli Usa hanno minacciato di bombardarci in Libano dalle loro navi militari nel Mediterraneo. Siamo preparati per qualunque scenario”, ha assicurato Nasrallah. Per poi avvertire che “se scoppia una guerra totale, voi americani pagherete con le vostre navi, i vostri aerei e i vostri soldati”, ricordando le “sconfitte” subite da Washington “in Libano e Iraq” e “l’umiliante ritiro dall’Afghanistan”. “Tutte le opzioni sono sul tavolo”, ha minacciato il leader di Hezbollah, sottolineando che “l’unico fattore che influenzerà la posizione” del gruppo “è la progressione della guerra”. E rivolgendosi a Israele, lo ha avvertito di “non andare oltre. Molti civili sono già morti e ve lo prometto: un civile per un civile”. A stretto giro, è arrivata la risposta del premier Benjamin Netanyahu che ha assicurato al gruppo libanese “perdite inimmaginabili” se commetterà errori e avvierà un’escalation su larga scala sul fronte nord.

Dalla Casa Bianca, un portavoce del Consiglio di Sicurezza nazionale Usa ha avvertito a sua volta Hezbollah di “non cercare di trarre vantaggio dal conflitto in corso. Gli Stati Uniti non vogliono vedere questo conflitto espandersi in Libano”. Intanto, da Israele, il segretario di Stato americano, Antony Blinken, al suo secondo tour mediorientale dall’avvio del conflitto, ha ribadito la posizione di Washington secondo cui “Israele non solo ha il diritto ma anche l’obbligo di difendersi e di assicurarsi che il 7 ottobre non si ripeta mai più”. Tuttavia, ha aggiunto, “il modo in cui Israele agisce in questo senso è importante ed è molto importante che, quando si tratta di protezione dei civili coinvolti nel fuoco incrociato di Hamas, venga fatto tutto per proteggerli e portare assistenza a coloro che ne hanno così disperatamente bisogno”.

Il capo della diplomazia Usa ha anche riferito di aver sollevato il tema di “pause umanitarie” con Netanyahu, ma quest’ultimo ha sottolineato che “Israele rifiuta un cessate il fuoco temporaneo” con Hamas finché gli oltre 240 ostaggi sequestrati non saranno rilasciati. Blinken, dopo la visita nello Stato ebraico, volerà in Giordania, mentre la tappa in Turchia domenica - di cui si era vociferato nei giorni scorsi - non è confermata.