«Si mettessero l’anima in pace, noi restiamo nel Pd e contribuiamo con le nostre idee»: così l’onorevole Roberto Giachetti al Dubbio a poche ore dalla direzione del Pd.

Onorevole per quanto concerne la segreteria del Pd, come sono andate effettivamente le cose?

Non siamo fuori per fare un dispetto. Mi sono candidato in contrapposizione a Zingaretti perché non condividevo la sua linea politica. Quando lui mi ha chiesto di far parte della segreteria ho risposto di no, perché se vi si sta bisogna condividerne almeno in parte la linea.

Una scissione all’orizzonte?

Ho avuto la sensazione che qualcuno auspicasse che noi dopo le primarie uscissimo dal partito. Non stando così le cose, stanno spingendo affinché accada adesso. Ma invece noi abbiamo dimostrato come si riesce a stare da minoranza all’interno di un partito, e che una volta che la maggioranza ha preso le decisioni si lavora per il partito. Capisco che misurarsi con una minoranza responsabile è difficile perché non la sia può accusare di essere sleale. Si mettessero l’anima in pace, noi restiamo nel Pd e contribuiamo con le nostre idee.

Secondo Lei il Pd come ha affrontato il caso Lotti/ Csm?

Il Pd, come sbaglio strategico assoluto, ha contribuito a far diventare il caso eclatante dei rapporti tra magistratura e politica il caso Lotti. Non penso che questo sia il caso Lotti ma quello di un rapporto perverso tra politica e magistratura che tutti sanno esistere da decenni. Tutte le anime belle che oggi si scandalizzano e chiedono il passo indietro di Lotti sanno perfettamente che questo c’è sempre stato. Questa vicenda parte da una indagine su Palamara che solo in un secondo momento fa emergere dell'altro che non ha ora alcuna rilevanza penale e che è finito con le intercettazioni nel pubblico dominio. Cosa che non sarebbe dovuta accadere. E aggiungo che Lotti e Cosimo Ferri sono due parlamentari che in quanto tali non potrebbero essere intercettati. Qualcuno sostiene che quando vengono alla luce questioni così eclatanti tutto sommato forse si può violare la legge. Ma non è che di uno di volta in volta può stabilire se la legge vada bene oppure no. La gravità di quello che è accaduto è poi che vengono coinvolti personaggi come il Presidente della Repubblica e De Raho. Ovvio che possono arrivare le smentite ma in una parte dell’opinione pubblica restano quelle convinzioni.

Il garantismo soccombe al giustizialismo.

Io non sono garantista, io sono un fedele custode dei precetti costituzionali. I giustizialisti sono coloro che tendono sempre a ribaltarli. L’altra ipocrisia insopportabile di questa vicenda è che si vuole pensare che tutto sia legato alla nomina del capo della Procura della Repubblica. Ma vogliamo parlare dei magistrati fuori ruolo che troviamo come capi di gabinetto e del legislativo, occupando tutte le posizioni più importanti nelle decisioni dell’esecutivo che poi arrivano al Parlamento? Pensi se ci fosse stato un trojan quando si è discusso delle responsabilità civile dei magistrati. Per non parlare di quei magistrati che vengono eletti e fanno la loro opera di lobbying dentro il Parlamento e poi tornano a fare i magistrati. In realtà tutto il tessuto istituzionale è permeato da questa anomalia, da questo rapporto insopportabile tra politica e magistratura, rapporto che ho sempre contestato. Tutto questo offre l’occasione per una riforma strutturale della giustizia: separazione delle carriere, riforma seria dell’istituto del fuori ruolo, riforma del Csm possibilmente non con il sorteggio che ritengo ridicolo. Poi c’è il tema delle porte girevoli su cui la politica non ha mai voluto prendere una posizione perché condizionata dalla magistratura e poi il tema dell’obbligatorietà dell’azione penale. C’è un pacchetto di riforme strutturali che può mettere in atto dei correttivi.

Zingaretti non ha fatto subito una riflessione sul tema.

Sono stati silenti su questo e poi ci sono state terze, quarte e quinte persone vicine a Zingaretti che hanno chiesto le dimissioni di Lotti come se fornire un pezzo di carne sanguinante al mondo risolva il problema di avere una posizione politica seria sui temi della giustizia.