La pace potrebbe essere all’orizzonte in Palestina. Dopo due anni dalla mattina di quel 7 ottobre, in cui 1194 civili israeliani furono massacrati dai miliziani di Hamas, e di altri gruppi affiliati, e a cui nei 24 mesi successivi si sono aggiunti gli ormai 67.160 palestinesi uccisi, di cui la maggior aprte civili, nella rappresaglia israeliana, si apre uno spiraglio di speranza perchè le bombe smettano di cadere, tacciano i fucili e la macabra conta giornaliera dei morti possa volgere al termine.

Il Piano per la Pace è stato accettato da Hamas venerdì sera, a seguito dell’ultimatum di Trump, che lo stesso giorno aveva minacciato la totale distruzione del Movimento se non avesse ricevuto una risposta entro domenica. Pronta è arrivata l’accettazione, seppur condizionata, anche grazie al pesante pressing effettuato dai Paesi arabi su Hamas. «Mi è stato detto che la prima fase dovrebbe essere completata questa settimana e chiedo a tutti di muoversi velocemente», ha scritto il presidente degli Stati Uniti du Truth.

Ieri sono iniziati i colloqui indiretti tra Israele e Hamas con la partecipazione degli Stati Uniti. La giornata è stata aperta degli incontri preliminari al Cairo, svoltisi alle 10 (ora locale) come riportato dalla Bbc, in cui le delegazioni egiziana e qatariota hanno raccolto le istanze della delegazione di Hamas, guidata da Khalil Al Haya. Il leader del Movimento islamista palestinese lo scorso 9 settembre è scampato al raid aereo israeliano su Doha in cui è rimasto ucciso il figlio, si era reso irreperile da allora ed è ricomparso, lo scorso sabato, in un video registrato trasmesso dall’emittente qatariota Al Araby. Quello di Doha è solo l’ultimo tentativo di assassinio perpetrato da Israele nei suoi confronti, anche nei precedenti al Haya ha perso diversi membri della sua famiglia.

La delegazione israeliana è guidata invece dal ministro per gli Affari strategici di Israele, Ron Dermer, ad affiancarlo ci sono il consigliere di Netanyahu per la politica estera, Ophir Falk, il coordinatore degli ostaggi, Gal Hirsch, il generale Nitzan ALuf e il vice capo dello Shin Bet.

Alle trattative, che dal Cairo si sono spostate a Sharm el Sheikh, partecipano anche l’inviato speciale Usa per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e Jared Kushner, genero di Trump e principale artefice, grazie alla sua fitta rete di conoscenze e ai suoi investimenti nella regione, del Piano di pace diviso in 20 punti.

Proprio su quattro di questi punti si concentreranno le trattative. Hamas ha infatti accetato il piano con riserva di trattare su alcune condizioni per la pace. La prima è la modalità di rilascio degli ostaggi, unica moneta di scambio e strumento di deterrenza per il Movimento, anche se sulla seconda i fatti di cronaca hanno mostrato come Netanyahu sembri esserne immune. I vertici del Movimento temono che, una volta rilasciati gli ultimi ostaggi rimasti in vita e restituite le salme di quelli che sono morti, le Idf riprendano le operazioni a Gaza senza più la spada di Damocle dell’uccisione degli ostaggi sulle loro teste. Inoltre Hamas non sarebbe a conoscenza dell’esatta ubicazione dei diversi ostaggi, ceduti ad altri gruppi della Jihad islamica nel corso della guerra. Per questo ieri la Turchia è intervenuta prendendo contatto con almeno due fazioni di miliziani con cui finora non erano in corso comunicazioni. Come contropartita per il rilascio degli ostaggi il Movimento ha richiesto la liberazione dei palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Tra questi figura Marwam Barghouti, definito il “Mandela palestinese”, sta scontando diverse condanne per gli attentati orchestrati nel corso della seconda Intifada. Barghouti viene indicato come il probabile successore di Mahmoud Abbas alla guida dell’Autorità Nazionale Palestinese. Netanyahu però, secondo quanto riportato dall’emittente israeliana Channel 14, si sarebbe impegnato con Ben Gvir a non rilasciare il leader palestinese che da 23 anni si trova in carcere in un regime di isolamento durissimo.

Altra questione sul tavolo delle negoziazioni è il disarmo di Hamas. Il Movimento ha più volte rifiutato di deporre le armi, almeno fino a che non ci sarà uno Stato palestinese e nell’accettare il Piano Hamas non ha fatto menzione di questo punto.

Sulla composizione del futuro governo di Gaza il Piano prevede la totale estromissione di Hamas, che invece nella sua risposta ha usato una formula vaga, senza lasciar intendere se il Movimento abbia o meno accettato di non essere parte del futuro governo palestinese. Eventualità che rimane fuori discussione pemna il fallimento delle trattative.

Rispetto invece al progressivo ritiro delle Idf dalla Striscia è stato lo stesso Netanyahu, a pochi minuti dalla presentazione del piano, a contraddirne alcune condizioni affermando che l’esercito israeliano sarebbe rimasto a Gaza e che un ritiro totale delle Idf dalla Striscia è fuori discussione, così come la futura creazione di uno Stato palestinese, prevista invece da uno dei 20 punti del Piano.