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©PHOTOPQR/L'EST REPUBLICAIN ; ATTENTAT - ATTAQUE TERROTISTE - SALLE DE SPECTACLE LE BATACLAN - CONCERT - PRISE D'OTAGES. Nancy 13 novembre 2015. Des policiers à proximité de la salle de concert Le Bataclan. CAPTURE D'ECRAN Alexandre MARCHI Paris: shootings and explosions at restaurant, concert hall and Stade de France.
Il 13 novembre 2015 le stragi coordinate del Bataclan e dei caffè parigini hanno segnato il punto più cruento e nichilista del jihadismo in Europa: 130 morti o oltre 350 feriti, l’attacco più mortale dai tempi della Seconda guerra mondiale. Un’ondata rosso sangue alimentata dai successi dello Stato islamico (Isis) che dal suo califfato di Raqqa e Mosul tra il 2014 e il 2016 ha reclutato e addestrato centinaia di giovani terroristi europei.
Da allora molte cose sono cambiate; l’Isis è stato sradicato, i suoi leader eliminati, le sua cattedrali abbattute. Anche al Qaeda (responsabile dell’attentato a Charlie Hebdo), dopo la morte di Osama bin Laden e poi di Ayman al Zawahiri ha assunto un profilo basso pur restando attiva in particolare nelle aree del maghreb e della penisola arabica. Di quella generazione resta ben poco, alcuni sono stati uccisi, la gran parte sconta pesanti condanne e la mancanza di una organizzazione strutturata ha per anni messo in crisi tutta la filiera.
Ora però i servizi francesi lanciano un nuovo, preoccupante allarme, tracciando un profilo dettagliato del nuovo jihadista, meno organizzato ma proteiforme e sfuggente. Secondo un rapporto della Direzione nazionale dell’intelligence ( DGSE) l’età media si è notevolmente abbassata: nell’ultimo anno tra i circa quaranta arrestati per progetti di attacchi sul territorio il 70% ha meno di vent’anni, alcuni di loro sono adolescenti di appena 15 anni.
La quasi totalità non aveva mai viaggiato all’estero, né conosceva personalmente altri militanti. Se per la generazione precedente il luogo della radicalizzazione era il carcere, oggi tutto si è spostato sulla rete: ragazzini che scoprono online il fanatismo e la violenza integralista, condividendo video su Tik tok e messaggi su Telegram, una community mimetica e in continua mutazione. Metà delle risorse dell’intelligence è oggi assorbita da operazioni di sorveglianza e infiltrazione cibernetica.
Come spiega Le Monde Nicolas Lerner, attuale direttore della DGSE «sono elementi meno organizzati, tuttavia, questo indebolimento ha aperto la via a una nuova costellazione di sigle, di gruppi autonomi e franchigie locali che agiscono con più libertà e più imprevedibilità. Là dove prima bastava monitorare pochi nodi strategici oggi dobbiamo agire in modo più agile».
Lerner evidenzia come l’opera di repressione non sia sufficiente: «Bisogna identificare i segnali radicalizzazione precoce, a scuola, nelle famiglie sui social e prevenire le derive violente. jihadismo è diventato un prodotto di consumo digitale, fatto di estetica, di simboli, di violenza spettacolare ma anche di solitudine individuale. Per contrastarlo bisogna entrare in questi stessi spazi, prima che lo facciano loro». I nuovi aspiranti terroristi colpiscono quasi sempre con mezzi rudimentali – coltelli, bastoni, armi improvvisate – e fuori da ogni radar. I tre quarti delle aggressioni compiute negli ultimi cinque anni sono avvenute con armi bianche, e due terzi degli autori erano degli incensurati del tutto sconosciuti ai servizi di sicurezza.
A volte gli esiti sono drammatici come nel caso di Samuel Paty l’insegnante di lettere decapitato nel 2020 da un 19enne di origine cecena perché aveva osato mostrare in classe alcune vignette di Charlie Hebdo da lui ritenute offensive verso la religione islamica. O del professore di francese Dominique Bernard, accoltellato nel 2023 da un 20enne sempre di origini caucasiche per pura emulazione dell’omicidio Paty e per «odio verso la Francia». A questo quadro si aggiunge la cosiddetta minaccia attivata: cellule o individui che, pur risiedendo in Francia, agiscono su impulso o ordine di referenti all’estero, spesso all’interno di reti familiari molto difficili da individuare.
Il pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023 e la devastante risposta militare israeliana su Gaza hanno agito come un detonatore ideologico su questa generazione. La narrativa jihadista ha immediatamente incorporato le immagini provenienti dalla Striscia in un racconto binario: l’Occidente come complice del massacro compiuto dall’Idf, i musulmani come popolo martire.
Non si tratta solo di propaganda: è un meccanismo di identificazione immediata che produce rabbia e impulso all’azione. Come sottolinea la DGSE più della metà degli attacchi o dei progetti di attentato sventati dalla fine del 2023 presentano un legame diretto o indiretto con la guerra a Gaza — nelle scelte di obiettivi come le sinagoghe o la comunità ebraica, nei riferimenti religiosi, o nelle rivendicazioni online.
«Finché la questione palestinese non verrà risolta politicamente il suo potenziale di attivazione jihadista rimarrà intatto», conclude Lerner che invita ia non cadere nella tentazione securitaria: «La forza della Francia è aver mantenuto il suo equilibrio democratico, ci siamo dotati di strumenti efficaci che ci permettono di vivere più sicuri senza rinunciare alla libertà».


