C’è un rischio che il vicepresidente del Csm David Ermini coglie come forse nessuno finora aveva fatto: «La speditezza del processo non può trasformarsi, da garanzia e diritto dell’imputato e della vittima, in compromissione di garanzie irrinunciabili».

Ecco. La frase che Ermini pronuncia dal palco del congresso Ucpi di Taormina fa emergere un’insidia sottovalutata, contenuta nella possibile, paradossale risposta al «rischio concreto che, con la nuova prescrizione, si vada verso un processo tendenzialmente illimitato», e quindi verso «la negazione del principio costituzionale della ragionevole durata». Ebbene, è dietro l’angolo la tentazione che, proprio per evitare quella durata potenzialmente indefinita dei giudizi, si «intervenga sul processo secondo logiche di mero efficientismo aziendale e produttivistico».

Lungo una simile traiettoria, infatti, si finirebbe per «intaccare il diritto di difesa e le altre garanzie processuali». Forse, nota il vicepresidente del Csm, «la riforma sulla prescrizione non andava approvata in quel modo, si poteva aspettare. Prima sarebbe dovuto entrare in vigore una riforma penale capace di ridurre in modo drastico i tempi del processo».  Ermini nota anche come il riconoscimento del «rilievo costituzionale dell’avvocatura possa essere un anticorpo rispetto a suggestioni giustizialiste».