È al 41 bis del carcere romano di Rebibbia, a fine maggio gli è stato diagnosticato un tumore alla prostata e i sanitari dell’istituto penitenziario hanno richiesto di effettuare una terapia e l’eventuale operazione chirurgica per scongiurare le metastasi. Sono passati sei mesi, ma ancora non è stato ricoverato presso il policlinico Umberto primo. Ancora nessuna terapia in atto.

A ciò si aggiunge il fatto che dal diario clinico di luglio scorso risulta che i medici del carcere hanno chiesto alla direzione di comunicare al magistrato di sorveglianza di non essere più in grado di tutelare la salute del detenuto.

L’avvocata Vincenza Pirracchio del foro di Catania, ha fatto istanza di differimento pena per permettere le cure, ma il tribunale di sorveglianza l’ha rigettata affermando che la condizione inframuraria «non pregiudica il suo diritto alla salute né comporta un vulnus alla funzione delle pena e senso di umanità».

Differimento pena a parte, rimane però il principale problema dei mesi di attesa per una terapia ed eventuale operazione al cancro al fine di scongiurare l’esito infausto, così come ha allertato il suo urologo visitandolo a settembre.

Il detenuto recluso al 41 bis si chiama Vincenzo Aiello e l’avvocata Pirracchio che l’assiste, si è ritrovata costretta a segnalare il problema anche al garante nazionale delle persone private della libertà. Segnala, con tanto di allegati, che gli accertamenti volti alla stadiazione del tumore sono stati effettuati – con un ritardo di 4 mesi dall’accertamento del cancro – a settembre scorso. I familiari hanno provveduto a chiedere il consulto di uno specialista in urologia che ha redatto il referto dove viene evidenziata la necessita di provvedere immediatamente ad iniziare la necessaria terapia e che ogni ulteriore ritardo potrebbe determinare un esito infausto.

Ebbene, oggi, a distanza di sei mesi dalla diagnosi di neoplasia cancerosa alla prostata, tutto è rimasto fermo, né risulta che i sanitari del carcere di Rebibbia si siano attivati al fine di predisporre quanto necessario all’esecuzione della necessaria terapia. Inoltre l’avvocata Pirracchio segnala un episodio emblematico. Il 24 giugno scorso, alle ore 4.45, mentre era in bagno, Aiello è caduto e a seguito di una radiografia è stata riscontrata a livello dell’anca una immagine alterata che potrebbe essere riconducibile a metastasi ossea. Ciò nonostante – così segnala al Garante l’avvocata - «nulla da parte della direzione del carcere e dei suoi sanitari è stato fatto».

Viene evidenziato che è ben nota la necessità in caso di patologia neoplastica di procedere con la massima celerità agli accertamenti ed alle procedure chirurgiche e/o cure e metodiche di radioterapia al fine di evitare la progressione della neoplasia e il pericolo di metastasi. «In tale situazione ben può dirsi che da parte dei competenti organi, tenuti a vigilare sulla salute dei detenuti si stia dimostrando un totale disinteresse», denuncia al Garante. Com’è detto, tutto è fermo nonostante che siano state avanzate istanze.

Il Tribunale di Sorveglianza di Roma con provvedimento del 28 ottobre scorso a seguito dell’udienza del mese precedente, ha rigettato la richiesta di sospensione della pena o di detenzione domiciliare con autorizzazione a recarsi presso le strutture sanitarie per eseguire la prescritta terapia, affermando che Aiello avrebbe ricevuto le cure presso il 41 bis e che comunque si tratterebbe di cure praticabili all’interno della struttura sanitaria. E invece, ad oggi, non risulta ancora effettuata nessuna terapia, né vi sono in atti procedure dirette alla pratica della terapia.

Il legale del recluso al 41 bis, chiede quindi di sollecitare il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) affinché intervenga per adottare le necessarie, e non procrastinabili, misure atte ad assicurare al detenuto i necessari esami e cure cui è necessario procedere celermente.