Il "passaggio di crisi", se il M5S uscirà dall'aula al Senato, ci sarà. Draghi salirà al Colle, riferirà al capo dello Stato e rassegnerà le dimissioni aprendo lui la crisi. Ancora ieri sera tutti consideravano comunque questa ipotesi improbabile. Oggi nell’incontro con i sindacati il premier dovrebbe lanciare alcuni segnali che permetterebbero a Conte di votare la fiducia. Non è detto però che siano sufficienti. In quel caso sarebbe appunto il premier a “parlamentarizzare” la crisi dimettendosi. I punti interrogativi comunque «comprendere quali forze politiche intendano sostenere il governo, non a fasi alterne e per tornaconti elettorali, ma per fare le riforme e tutelare gli interessi degli italiani», dice il fondatore di Forza Italia, che poi si scaglia contro gli alleati pentastellati di governo, accusandoli di «schizofrenia politica». Si associa, ovviamente, alla richiesta del vecchio leader del centrodestra anche il segretario della Lega, Matteo Salvini, che però approfitta della confusione per ribadire il no del Carroccio alle «leggi su droga libera e cittadinanza facile».

E se dal Pd provano a gettare acqua sul fuoco, convinti che alla fine Conte darà priorità alle emergenze sociali del Paese, Matteo Renzi spara a zero sull’avvocato di Volturara Appula, definendolo come uno di «quei clown alla fine della carriera, che non fanno più ridere». Poi il leader di Italia viva offre la disponibilità del suo partito a «andare avanti anche senza» M5S, «ma bisogna vedere se ci sono la volontà e i numeri e su che cosa», dice Renzi. Già, la volontà e i numeri.

Perché anche senza Movimento il governo continuerebbe a godere di un’ampia maggioranza, ma non è detto che Draghi abbia voglia di proseguire l’esperienza a Palazzo Chigi, consegnandosi ai capricci della Lega, il partito più corposo in Parlamento. I pontieri sono già al lavoro per trovare un accordo tra il premier e i 5S e scongiurare la terza crisi della legislatura. Restano 48 ore per evitare lo strappo al Senato giovedì. Forse non sono abbastanza. Proliferano. Disertare l'aula è cosa diversa dal non votare la fiducia.

Non sarebbe peraltro neppure un inedito assoluto: la Lega lo ha già fatto un paio di volte, proprio al Senato, lasciando solo alcuni senatori in aula mentre il grosso del gruppo evitava di votare. Mattarella potrebbe pertanto non accettare le dimissioni chiedendo però un chiarimento di fronte alle Camere. Certo, la situazione è in questo caso diversa. La drammatizzazione decisa da Conte è stata molto più marcata. La suspence della settimana scorsa alla Camera e anche le tensioni derivate ieri dalla decisione, peraltro già nota, di non partecipare al voto finale sul dl Aiuti dopo aver votato la fiducia rendono la scelta al Senato molto più nevralgica. In ogni caso, Draghi coglierebbe l'occasione per rendere il chiarimento definitivo e, almeno nei suoi auspici, vincolante per Conte.

Chiaramente la situazione sarebbe molto più grave qualora Conte decidesse di ritirare i suoi ministri passando all'appoggio esterno: il terzo punto interrogativo e forse quello decisivo è in effetti questo. Che la scelta di non partecipare al voto di fiducia sia propedeutica al ritiro dei ministri è, e non certo, molto probabile. Ma il quando è invece in forse. Quasi certamente, avendo presentato a Draghi il suo pacchetto di richieste in attesa di risposta entro luglio, Conte non procederebbe subito al ritiro della delegazione. In stretta coerenza con l'inveterata abitudine di rimandare sempre il rimandabile, l'ex premier progetta di assumere una decisione definitiva solo in settembre ma non è detto che stavolta il temporeggiamento sia possibile. Mattarella e Draghi potrebbero decidere di anticipare i tempi forzando la mano sul dibattito parlamentare subito dopo l'eventuale assenza dall'aula del Senato al momento di votare la fiducia sul dl Aiuti. Lo stesso Draghi potrebbe dare alle richieste di Conte una risposta tanto chiara e dettagliata da costringere il capo dei 5S a scegliere subito. Gli stessi senatori 5S non sembrano gradire molto la tattica del temporeggiamento sino all'autunno.

L'ultimo quesito verte sul cosa decideranno di fare Mattarella e Draghi se si arriverà all'appoggio esterno. In teoria le dimissioni del premier, lo scioglimento delle camere e le elezioni anticipate in autunno dovrebbero essere automatiche. Questo hanno fatto capire al di là di ogni dubbio sia il presidente della Repubblica in privato, nel colloquio con Conte, sia il capo del governo pubblicamente, in conferenza stampa. Che le cose vadano davvero così però è molto improbabile. Non ci sarebbero dubbi in condizioni normali. Ce ne sono invece a fiumi in un momento così critico e delicato. Con una maggioranza molto ampia anche se non solida e di fronte alcuni passaggi tanto urgenti quanto delicati in autunno, sia Mattarella che il premier opterebbero molto probabilmente per un governo Draghi bis, sostituendo i ministri 5S. Non sarebbe comunque, e forse non sarà, una scelta facile.

Il passaggio dei 5S all'appoggio esterno aprirebbe in realtà una fase di forte conflittualità parlamentare proprio nel momento del varo della legge di bilancio. La Lega scalpiterebbe più che mai mettendo sul piatto della bilancia il suo appoggio determinante ai provvedimenti essenziali. L'ultimo scorcio di legislatura diventerebbe un thriller proprio nel momento in cui, presumibilmente raggiungeranno il picco sia la crisi energetica che quella sanitaria latente, senza dimenticare la possibilità che la guerra ucraina entri in una nuova e più drammatica fase. Ma proprio perché la situazione è tanto pericolante immaginare che il capo dello Stato e quello del governo scelgano quello che sarebbe comunque un salto nel buio non è davvero facile.