Si conoscerà oggi la strada scelta dall’avvocatura per cogliere un obiettivo certo non nuovo: l’equilibrio del proprio “governo interno”. O governance, come oggi si preferisce dire. Si passerà, dalle 9.30 di questa mattina, al voto delle mozioni. A cominciare da quella, molto dibattuta ieri, di Ocf, definita nell’ultima assemblea dell’Organismo, che traccia una prospettiva di riforma dello stesso Consiglio nazionale forense, inclusa una scissione tra funzioni giurisdizionali e amministrative. Ma da Ocf arriva anche una proposta di metodo. Di discussione per passaggi graduali, che consegnerebbe alle già previste sessioni ulteriori di questo 35esimo congresso nazionale forense in corso a Lecce, lo studio approfondito sull’assetto dell’avvocatura. Potrebbe voler dire approvare, di qui a qualche mese, una proposta di riforma della legge professionale da affidare alla politica. Ma al momento di andare in stampa, non è ancora esclusa l’ipotesi che venga messa oggi in votazione una serie di proposte, avanzate da diverse voci dell’associazionismo forense, orientate a non attendere le sessioni ulteriori e ad approvare subito modifiche tranchant sulla governance. Diventerebbero così deliberato congressuale ipotesi, che in parte pure l’Ocf prospetta, relative per esempio a modifiche pesanti del sistema di voto del Cnf, che non consisterebbe più in una classica elezione di secondo livello ma chiamerebbe a pronunciarsi ciascun singolo iscritto all’albo. Con conseguente ridimensionamento dei Coa, oggi snodo centrale dell’avvocatura. Il punto di sintesi, prospettato ad esempio dal coordinatore di Ocf Sergio Paparo, è quello di una mozione d’ordine che eviti lo stillicidio, oggi, di un voto su ciascuna delle varie mozioni iper-riformatrici. D’altronde, una sconfitta di tali proposte sancirebbe anche l’accantonamento delle prospettive messe a punto, in modo quanto meno più aperto all’elaborazione condivisa, dallo stesso Ocf. Difficile fare previsioni prima che gli eventi si compiano. Si può intanto registrare l’interpretazione autentica di Vinicio Nardo, componente dell’Ufficio di coordinamento dell’Organismo congressuale forense: difende la mozione 50, ricorda che il testo si propone appunto «innanzitutto di dividere la funzione giurisdizionale del Cnf dalle altre: noi avvocati dovremmo evitare di insistere con un modello di autodisciplina interna passibile di essere additato come paternalistico. Perché è questo che si verifica nel momento in cui chi è componente del Cnf, e in quanto tale si occupa della rappresentanza istituzionale dell’intera avvocatura, è chiamato, in base all’assetto attuale, anche a giudicare i colleghi. Come possiamo», chiede il presidente del Coa di Milano nel suo intervento mattutino al Grand Hotel Tiziano di Lecce, «non essere noi a superare tale modello, proprio mentre si discute di separazione delle carriere, di evitare questo paternalismo nella giustizia interna dei giudici?». C’è insomma un’inevitabile tensione, nelle assise leccesi aperte giovedì e che si concluderanno oggi, su questioni tutte interne alla professione. È inevitabile, considerato che oggi le mozioni dovranno comunque o andare in votazione o essere accantonate in vista delle sessioni ulteriori. Così è, anche considerato che sempre ieri si sono completate le operazioni di voto per il rinnovo dello stesso Ocf (ma a un’ora in cui questa edizione del Dubbio era già andata in tipografia). E andrebbero citate molte voci che hanno contribuito, ieri, al dirimere il dilemma. Ad esempio, il delegato dell’Ordine di Caltanissetta Pierluigi Zoda ha chiesto «massima prudenza sulle mozioni che riguardano la nostra governance» e si è espresso a favore della linea indicata da Paparo. Ma c’è anche chi, come il presidente del Coa di Pisa Stefano Pulidori, ha criticato con asprezza la stessa mozione 50 di Ocf: «È contraddittoria, perché da una parte aggiorna il confronto sul tema in vista di una sessione ulteriore del 2021, ma dall’altra prefigura uno stravolgimento pesante del Cnf. E io trovo fuorviante affrontare i problemi dell’avvocatura con modifiche ordinamentali, perché è un po’ come quando noi rimproveriamo al legislatore di illudersi che le modifiche dei riti possano risolvere i problemi della giustizia». Senza contare, ha aggiunto Pulidori, che «col nuovo sistema elettorale avremmo un Cnf di 80 consiglieri, dunque del tutto incapace di svolgere le propriue funzioni».

GLI ALTRI SPUNTI DEL DIBATTITO

Però questa inevitabile forma di contrazione della prospettiva congressuale non cancella affatto le aspirazioni di slancio verso il futuro sollecitate giovedì dalla presidente del Cnf Maria Masi. Che nel proprio discorso inaugurale aveva chiesto «una riscoperta della nostra funzione di tutori dello Stato di diritto e dunque della stessa democrazia» come leva per rimuovere «la crisi identitaria». E non si può affatto dire che tale input si sia disperso ieri nei rivoli delle querelle sulla governance. Basti citare due appassionati interventi nel dibattito di ieri mattina, da cui si possono cogliere, verrebbe da dire, la rabbia e l’orgoglio dell’avvocatura rispetto al proprio futuro. Grazia Maria Sacco ad esempio ha prima citato la raccomandazione di Calamandrei a «non credere a un avvocato che, in un momento di sconforto, dice “la giustizia non esiste”», ma poi ha aggiunto: «È anche vero che negli ultimi tempi i motivi di sconforto sono sempre più numerosi». E ha lamentato soprattutto «la dissonanza tra magistrati e avvocati contenuta nelle ultime riforme: noi siamo sempre più schiacciati da impegni e oneri, mentre i magistrati rischiano di vanificare anche le nuove garanzie previste per esempio con il Tribunale della persona, perché restano liberi di rinviare le cause anche per anni». E perciò Sacco chiede con la propria mozione «la responsabilità civile diretta per la magistratura: sia chiamata a rispondere di mancato rispetto dei termini in caso di negligenza, come noi siamo esposti a risarcire i danni e a proteggerci con una polizza». Ma visto che Masi chiede di ritrovare innanzitutto il senso della «funzione di tutori dei diritti, dei diritti di tutti», vano citate le parole con cui Tatiana Biagioni ha illustrato la mozione dei Comitati Pari opportunità: «Non c’è democrazia senza una avvocatura libera, e lo dimostra anche il fatto che a noi il legislatore ha affidato, nel 2012, la tutela delle pari opportunità, la responsabilità di avanzare proposte per renderle effettive». E noi, ha aggiunto Biagioni, in uno slancio che interpreta appunto l’orgoglio dell’avvocatura, «dobbiamo saper aiutare il Paese, che è in ritirata su questi temi, e ricordargli che le discriminazioni non riguardano solo il genere ma, per esempio, anche la disabilità. Questione su cui da tempo noi abbiamo introdotto tutele introvabili altrove». E c’è l’orgoglio di Cinzia Calabrese dell’Aiaf, che ha voluto «festeggiare insieme la riforma del processo di famiglia: un grande risultato per il quale ci siamo battuti per decenni, a cominciare dalla compianta Michela Pini». Citazione commossa che accresce il valore degli obiettivi colti su «semplificazione e garanzie nel contraddittorio, in un ambito in cui vanno tutelati i soggetti più fragili. E ringrazio Maria Masi», ha concluso, «per aver fatto riferimento, nella sua relazione, proprio a questi ultimi». E ancora la rabbia, ad esempio quella di Fabrizio Spagnoli del Coa di Livorno e dell’Unione Toscana: «Il mio è uno di quei Tribunali in cui il cittadino trova il nulla, perché ormai non ci sono più magistrati in grado di fargli giustizia: a breve resteremo con due soli giudici su un organico di dieci, con il 40 per centro di personale amministrativo in meno». Tiziana Carabellese, segretaria dell’esecutivo uscente di Ocf, presenta la mozione con cui «si deve evitare che la politica decida arbitrariamente sull’accesso alla nostra professione: siamo noi a doverlo disegnare, a partire da un nuovo percorso universitario». Il presidente di Movimento forense Antonino La Lumia invita a occuparsi di giovani anche nel senso di «capire cosa significa nel 2022 essere avvocato: credo voglia dire confrontarci su nuove competenze, digitalizzazione, aggregazioni professionali. E per farlo dovrebbero confrontarsi attorno a un tavolo l’avvocatura istituzionale, la componente politica e quella associativa». C’è tanto spazio per le istanze delle associazioni: Isabella Stoppani presenta la mozione con cui l’Anai chiede di rimediare ai vulnus su terzietà e imparzialità aperti nella riforma tributaria, «a cominciare dal controllo del Mef sui giudici», e senza trascurare l’apertura «a magistrati che abbiano una laurea in Economia anziché in Giurisprudenza». Sempre sul fronte del processo tributario, il presidente Uncat Antonio Damascelli chiede sostegno «alla nostra mozione 134, che riguarda i rischi di veder sacrificati i diritti costituzionali dei contribuenti dall’irrruzione dell’intelligenza artificiale». Antonella Trentini, rieletta leader di Unaep, ricorda che «la dignità di noi avvocati degli enti pubblici va difesa perché mette in gioco l’autonomia e la dignità dell’avvocatura intera». E se il componente di Ocf Paolo Ponzio si fa carico del documento congressuale sul «regime giuridico delle istituzioni forensi, tuttora destinatarie improprie di adempimenti richiesti dalla Pa», molti meriti vanno alla profondità dell’intervento di Giovanni Delucca, delegato di Bologna, che chiede «un serio investimento formativo sull’ordinamento giudiziario: è importante conoscere le regole degli altri, dei magistrati. O anche il voto nei Consigli giudiziari resterà una conquista vuota». A riprova che sul ruolo dell’avvocatura c’è ancora una prateria di obiettivi da cogliere.