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Sei anni di reclusione e l'esclusione dall'attività giornalistica per ulteriori cinque anni. La colpa è quella di aver diffuso notizie ritenute false secondo le draconiane leggi di guerra introdotte dopo l'invasione dell’Ucraina. E questa la pena alla quale e stata condannata la cronista russa Maria Ponomarenko. Era stata arrestata nell'aprile scorso perché sulla testata su cui scriveva, il sito di notizie RusNews, aveva pubblicato un post, in realtà un articolo, nel quale affermava che l attacco sul tristemente noto teatro di Mariupol, era stato compiuto da aerei da guerra russi.
Si è trattato di uno degli episodi più drammatici della guerra in corso, all'interno del teatro infatti circa 1200 civili avevano trovato riparo durante l'assedio della citta martire, nonostante i rifugiati avessero scritto in russo sulla neve la parola bambini per evitare un bombardamento, i caccia russi, da ciò che e stato stabilito dopo diverse indagini, non risparmiarono la struttura provocando una strage.
Secondo le autorità ucraine 300 persone rimasero uccise, anche se un'inchiesta dell'Associated Press ha rivelato che il numero delle vittime è stato quasi il doppio, più vicino a 600. Molti dei corpi senza vita furono ritrovati nel seminterrato, segno evidente che non ci fu nessuna possibilità di fuga. Anche Amnesty International ha affermato che si è trattato di un crimine di guerra compiuto dalle forze russe mentre il gruppo di monitoraggio internazionale dell'OSCE ha dichiarato di non aver ricevuto alcuna indicazione a sostegno delle accuse russe secondo cui sarebbe stato un battaglione ucraino che avrebbe fatto saltare in aria il teatro.
Una verità che a Mosca è stata propagandata dal ministero della Difesa per cui il solo metterla in dubbio equivale a un reato penale. Il tribunale di Barnaul, in Siberia, che ha giudicato la giornalista 44enne dunque l'ha condannata in quanto rea di aver diffuso fake news che ledono l'onore dell'esercito russo. Secondo i pubblici ministeri infatti Maria Ponomarenko ha commesso un reato pubblicando informazioni consapevolmente false sulle forze armate.
A nulla e valsa la difesa della giornalista che poco prima della sentenza di condanna si e rivolta alla Corte affermando di non aver compiuto nulla di sbagliato. Ponomarenko ha detto: «Se avessi commesso un vero crimine, sarebbe stato possibile chiedere clemenza, ma ancora una volta, a causa delle mie qualità morali ed etiche, non lo faccio». La riaffermazione della propria integrità e convinzione nonostante la lunga carcerazione preventiva per la quale la giornalista, che ha due figli piccoli, ha sofferto di problemi psichici. Il suo avvocato, l'anno scorso, ha paragonato le sue condizioni in detenzione simili alla tortura.
Di fronte ai giudici Ponomarenko si è dichiarata una persona patriottica ma pacifista lanciando poi un attacco al potere putiniano: «Nessun regime totalitario è mai stato così forte come prima del suo crollo». La vicenda che si è consumata, è solo l'ultima che ha coinvolto persone note all'opinione pubblica russa. Le cronache ormai raccontano di una giornaliera persecuzione di ogni pur piccolo dissenso rispetto a quella che veniva chiamata eufemisticamente l'operazione militare speciale. Ormai si puo finire in carcere per un post sui social media, per una canzone, una scritta di protesta o magari semplicemente per un discorso pronunciato con qualcuno che poi denuncia alle autorità di polizia.
Neanche i politici regolarmente eletti vengono risparmiati dalla implacabile legge sulle notizie false. La scorsa estate, un consigliere della municipalità di Mosca, Alexei Gorinov, è stato condannato a sette anni di reclusione dopo essere stato filmato mentre parlava contro la guerra in Ucraina durante una riunione del consiglio comunale. All'inizio di questa settimana un gruppo di lavoro delle Nazioni Unite ha chiesto il suo rilascio, concludendo che la sua detenzione era arbitraria e contraria alla Dichiarazione universale dei diritti umani. Stessa sorte per Ilya Yashin, una delle figure più importanti dell'opposizione, spedito in prigione con una condanna a otto anni e mezzo per un video su YouTube nel quale condannava l'uccisione di centinaia di civili ucraini da parte delle forze di occupazione russe a Bucha, vicino a Kiev.