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A rompere l'idillio gialloverde arrivano le regioni del Nord.
Da ovest, il Piemonte con il suo cantiere per l’alta velocità Torino- Lione è al centro del primo vero contrasto tra Matteo Salvini e i 5 Stelle. La polemica comincia a inizio settimana, quando il ministro per le Infrastrutture pentastellato, Danilo Toninelli, incautamente dichiara che «la Tav va migliorata, ma si farà».
Una posizione che accende subito la polemica con la base grillina piemontese, da sempre vicina al movimento No Tav, che si scatena sui social con post al vetriolo. Così Toninelli fa la prima capriola: «Nessuno si azzardi a firmare l’avanzamento lavori, ridiscutiamo integralmente il progetto». E ieri arriva a fagli eco il premier, Giuseppe Conte, nella sua prima presa di posizione pubblica: «L’alta velocità non si farà più». Il principio di pietra tombale su un progetto che è già costato 1,7 miliardi di euro, ripartiti tra Francia e Italia con il 41% a carico dell’Unione Europea, però, manda in allarme gli alleati leghisti. È il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ad aprire il fronte, smentendo pubblicamente il presidente del Consiglio: «Con la Tav occorre andare avanti, non si torna indietro». Il ragionamento è puramente pragmatico: «L’opera serve? E, se da un’analisi attualizzata del 2018 per caso non serve, costa di più bloccarla che proseguirla? Questo è il ragionamento che varrà su tutto, Tav, Tap, Pedemontana, Terzo Valico. Questo c’è scritto e questo faremo. C’è l’analisi costi- benefici, non è che faccio pagare agli italiani miliardi». E, se si considerano i costi già sostenuti e il fatto che, in caso di interruzione, andranno restituiti anche i fondi europei già spesi e potrebbe venire notificata una penale da 2 miliardi di euro, la risposta sembra una sola e ineludibile.
Uno stop in piena regola, quello di Salvini, che non fa alcuna concessione: «Non si faranno sconti in caso di contestazioni violente», avverte il ministro in riferimento agli attacchi dei No Tav ai cantieri. La vittoria almeno temporanea, alla fine, la incassa la Lega: «L’istruttora è in corso, non è stata ancora presa alcuna decisione», è il passo indietro di Conte, che di fatto smentisce se stesso. Il botta e risposta con continui cambi di direzione, però, non è indolore. Se era prevedibile la stizzita reazione francese, altra parte in causa nel progetto, ( il delegato generale del comitato Transalpine, Stephane Guggino non ha nascosto lo sconcerto: «Mi chedo come sia possibile cambiare idea così, nel giro di quattro giorni» ), un avvertimento più deciso arriva direttamente dalla Ue: «Il progetto è importante per tutta l’Europa, le parti mantengano gli impegni», anche perchè «i fondi vanno a lavori che devono essere fatti, non a qualcosa che non viene fatto».
Dalla Val di Susa alla pianura, l’altra linea del fronte arriva dal Veneto, roccaforte del Carroccio. Le imprese venete ( dopo le bocciature di Confindustria e Confartigianato) sono sul piene di guerra contro il decreto Dignità che porta la firma del ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, tanto che il governatore Luca Zaia tuona: «Deve essere modificato, perchè rischia di avere un impatto pesante» proprio sulle categorie di riferimento per l’elettorato leghista. L’allarme arriva forte e chiaro fino al leader Salvini, il qualre non è disposto a sfidare il malcontento di chi gli ha assicurato la golden share al governo: «Qualunque decreto all’esame del Parlamento può migliorare, deve migliorare. La reintroduzione dei voucher è uno degli esempi su cui abbiamo lavorato e stiamo lavorando». In sostanza, dunque, la Lega punterà a modificare il decreto direttamente in Aula, e pazienza se l’ingerenza in un ministero “grillino” potrebbe irritare Di Maio, che sul provvedimento ha scommesso la sua credibilità.
Alla prova dei fatti, le proteste “nordiste” aprono le prime crepe nel governo gialloverde.
A parole la battaglia l’ha vinta Salvini, ma imprenditori e No Tav, pur agli opposti, hanno in comune il pragmatismo: l’Esecutivo per ora fa melina, ma a breve dovrà decidere, per forza di cose scontentando una delle parti in causa.