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Sul recente intervento della Consulta, che ribadisce la riservatezza della corrispondenza tra i difensori e i loro assistiti al 41-bis (carcere duro), si susseguono commenti e opinioni. Il Fatto quotidiano, coerente alla sua linea editoriale, attacca frontalmente la decisione.
E in questa atmosfera, surriscaldata in vero più dai titoli che dal contenuto dei pezzi, qualcuno della redazione alza l’ingegno e compone – postandolo pure in rete – un occhiello su un articolo di Antonella Mascali, che irride gli Avvocati, la Corte Costituzionale e (forse pure) la Costituzione; così, in un colpo solo. Perché si sa, al Fatto sono ecumenici.
La frase, non c’è dubbio, prima ancora che infelice e persino dissonante dalla misura del pezzo, è urticante perché, mentre censura in modo spiccio la decisione della Consulta, pretende di fondare il dileggio – come vuoi definire l’antifrasi del “Geniale” posta in apertura? – sull’idea che se tu non leggi ciò che il detenuto scrive al suo avvocato va a finire che il primo gli ordina omicidi per iscritto e il secondo, ça va sans dire, trasmette gli ordini a chi di dovere. Una retorica che conosciamo, insomma, niente di nuovo sotto il sole. L’Unione delle Camere Penali Italiane reagisce con immediatezza e puntualizza assai bene, chiudendo gli spazi; a fianco partono pure altre rampogne al direttore Travaglio che non prende le distanze dal titolista, stavolta sì, davvero geniale. Rampogne, dico io, a maglie larghe: l’unica cosa vera è che, fra l’altro, il titolo offende la funzione difensiva, generalizzando.
Travaglio, allora, che tra i suoi difetti non annovera la stupidità, ghigna (sembra di vederlo) e prova a soverchiare asciuttamente i suoi detrattori: “Anche tra gli avvocati ci son le mele marce, cari signori, se ne deve tener conto”. E questo è vero, anzi banale, quasi come dire che tra i giornalisti si annoverano pennivendoli, servi di qualche padrone. Il punto è però, caro direttore, che se alcuni detenuti possono spedire ordini mafiosi ai loro difensori, i quali talvolta – al suo buon cuore: in una sparuta minoranza di casi – possono pure prestarsi indegnamente a trasmetterli, lei, che è appunto direttore, dovrebbe sapere che le norme (e le sentenze della Consulta tali sono) non disciplinano alcuni casi, ma la generalità di essi; che, cioè, sono leggi ad personam non solo quelle che salvano pochi tra molti, ma anche quelle che affossano i diritti di tutti (e la Costituzione) per l’azione di alcuni.
Dovrebbe prima ancora sapere, visto che vive di questo, che gli accostamenti concettuali possono diventare contumelie e che i cardini costituzionali non sopportano di essere forzati per le cose minute di un avvocato di Merano o di Canicattì. E dovrebbe soprattutto sapere che deridere la massima autorità giurisdizionale del paese, provando a darla in pasto a una comunità nutrita di bile per anni, è rischioso: se la prenda con gli Avvocati (si difenderanno) ma lasci perdere la Corte e la Carta, che, vivaddio, non le rivolgeranno la parola.
È saggezza popolare che se il dito indica la luna occorra guardare questa; stando attenti alla prospettiva però: sai quante dita tonde e luminose… Poi finisce che, a seguire queste idee balzane, oltre alle mele marcisce anche il diritto.