Brutta partenza da luna di fiele invece che di miele. Ignazio La Russa è stato eletto presidente del Senato ma senza i voti di Forza Italia, sostituiti non si sa da chi anche se i sospetti unanimi cadono su Renzi. In fondo è lui che ha bisogno della destra per conquistare i posti che l'asse Pd- M5S intendeva negargli: la vicepresidenza della Camera, la guida di una commissione di garanzia. Berlusconi, tanto furioso da essere immortalato dalle telecamere mentre mandava a tendere il futuro secondo cittadino dello Stato in aula, aveva deciso di fargliela pagare, bocciando la candidatura La Russa nelle due votazioni fissate per ieri.

In mattinata il cavaliere si era recato dalla leader della coalizione, a Montecitorio, e già questo gli è probabilmente sembrato un delitto di lesa maestà. Molto più offensiva la risposta di Giorgia alle sue rinnovate richieste: Mise, Giustizia e un posto da ministra per Licia Ronzulli. Risposta secca e tassativa: «No, no e no». A quel punto il Cavaliere aveva deciso di far pesare la sua forza in aula. I forzisti lo dicevano chiaramente: «Oggi La Russa non sarà eletto». «Non è solo il caso Ronzulli. Diciamo che mio padre ha governato per quattro anni perché sapeva coinvolgere gli alleati» , spiegava Stefania Craxi.

La leader non è arretrata di un centimetro, probabilmente perché, come dice senza perifrasi Berlusconi, aveva già in tasca l'accordo con Renzi. A cose fatte, a sconfitta cocente subìta i forzisti fanno buon viso a cattivo gioco. Berlusconi, l'unico azzurro ad aver votato con la presidente uscente Casellati, si felicita con l'eletto, assicura che non è successo niente. Non è vero e non può esserlo. L'incidente non è chiuso e non è di quelli che possano chiudersi con facilità. Forza Italia cercherà una vendetta e non ci sarà sempre Renzi a evitare la disfatta dell'alleata.

Ieri, inoltre, il leader azzurro non poteva contare sull'asse con Salvini, che si sente sull'orlo di una vincita da biglietto vincente alla lotteria, con 5 o 6 ministeri leghisti tra cui la fondamentale Economia, e dunque, dopo essersi impuntato a ripetizione nei giorni scorsi, era in ottima disposizione d'animo, tanto da far ritirare la candidatura del suo campione in campo, Calderoli. Ma anche da questo punto di vista le cose non andranno sempre così e le nuove crepe tra la Sorella d'Italia e il leader a cui ha depredato i forzieri elettorali più che a chiunque altro non tarderanno a emergere.

Lo spregiudicato gioco di ieri, inoltre, ha dimostrato che il giocatore d'azzardo ma anche lucido Renzi non ha alcuna intenzione di restare ai margini per tutta la durata della legislatura ed è una presenza che oggi ha permesso a Giorgia Meloni di vincere in extremis ma domani, a seconda delle circostanze, potrebbe metterla in grosse difficoltà. Quella di ieri rischia dunque di rivelarsi sin troppo presto una vittoria di Pirro.

La futura premier ha un solo modo per ricucire la lacerazione apertasi ieri prima che diventi irrecuperabile e si tratta dell'arte nella quale è meno versata, quella della diplomazia con gli alleati: la capacità di ingoiare qualche boccone amaro pur di garantirsene la fedeltà. La partita delle presidenze delle Camere si chiuderà oggi con l'elezione del terzo cittadino dello Stato. Non è detto che tutto fili liscio perché su Molinari si sono addensate ieri nuvole nere ma alla fine un leghista sarà eletto presidente della Camera. Solo a quel punto la partita della formazione del governo entrerà nel vivo, per concludersi tra il 21 ottobre, quando Meloni dovrebbe ricevere l'incarico, al 23 o 24, quando prevede di sciogliere la riserva e formare la squadra.

Se in questa decina di giorni la leader sceglierà di forzare la mano umiliando Berlusconi e costringendolo ad accettare una delegazione al governo esigua e senza il nome che per Silvio è diventato questione di principio, il governo nascerà comunque ma avrà probabilmente vita accidentata e breve. Se invece la tricolore saprà sfruttare la vittoria di ieri senza umiliare l'alleato e anzi mediando sulle sue richieste, senza accoglierle tutte ma anche senza sottoporre l'ex sovrano della destra a un diktat, la ferita di ieri potrà essere risanata e il governo partirà senza essere sin dal primo vagito un'anatra zoppa.