«Tutto è vanità e fame di vento» ripete Qohelet come intercalare della sua visione delle cose del mondo. Di vanità ve ne era tanta ( e purtroppo ne è rimasta ancora) al vertice del Terzo Polo, da parte dei due galli (copyright di Emma Bonino) nello stesso pollaio: uno (Carlo Calenda) convinto di avere la cresta più sontuosa del vicinato; l’altro (Matteo Renzi) persuaso di essere il pennuto più astuto del circondario e sicuro di sottrarre, al momento giusto, le galline al compagno di pollaio.

C’è stata un fase di alcuni mesi in cui la bicicletta Azione/ Italia viva credeva di essere divenuta l’isola di Lampedusa dei migranti della politica, provenienti - sul lato di sinistra – dai dem riformisti in fuga dopo la vittoria di Elly Schlein; da Forza Italia, sul versante di destra, con convinzione sempre più marcata dopo il repulisti di Silvio Berlusconi ai vertici del partito e dei gruppi parlamentari, seguito a stretto giro di posta dal malanno che, per giorni, lo dava ormai fuori combattimento. Invece, anche questa volta la farina del diavolo è diventata crusca: il Pd nonostante parecchi mal di pancia, ha subito, per ora, solo qualche defezione, in attesa che la nuova segretaria rinunci al ruolo di Sibilla cumana che fino ad ora ha ritagliato per sé e (ammesso che ne disponga) metta le carte in tavola. Dall’altra parte, Silvio Berlusconi si è avvalso di una delle sue tante vite e si appresta a tornare in campo.

Il Terzo Polo, invece, è imploso, all’improvviso, inaugurando nella storia delle scissioni partitiche, un caso particolare: la separazione per fatti personali. Tra Carlo Calenda e Matteo Renzi non vi sono dissensi su questioni di merito, sui grandi temi della politica interna e internazionale. No. Si direbbe quasi che sia andata a monte una unione civile e i partner si siano trovati a litigare, rinfacciandosi le responsabilità, in una puntata di Forum. Probabilmente Calenda ha ragione, ma come diceva sempre Luciano Lama, è necessario non solo averla, ma essere in grado anche di farsela dare. Soprattutto non si pubblica – come ha fatto Calenda – una dichiarazione ultimativa nella quale la persona con cui intendeva dar vita ad un partito comune ( non si dice unico perché rievoca brutte esperienze) viene descritto – indirettamente - come un farabutto che ha ricevuto avvisi di garanzia/ rinvii a giudizio/ condanne ; che ha accettato soldi a titolo personale, persino da dittatori e autocrati stranieri; che ha preso finanziamenti per il partito da speculatori stranieri e intrallazzatori; che ha intrallazzato nelle lottizzazioni del CSM; che è andato a Miami con il genero di Trump o in Arabia a prendere soldi dall'assassino di Khashoggi.

Per di più nessuna di queste pesanti critiche è incluso nelle motivazioni che inducono il leader di Azione a liquidare la prospettiva sulla quale stava lavorando sulla base del mandato degli elettori. E’ stato lo stesso Calenda a indicare la causa della rottura con Renzi, il quale. non era disponibile né a sciogliere Italia Viva, né a prendere l'impegno di destinare le risorse del suo partito verso il nuovo. E da lì la domanda è sorta spontanea: come può affrontare la campagna delle Europee un partito che nasce senza risorse e senza 2 per mille? Una motivazione in cui non vi è traccia di nessuna delle critiche implicite rivolte alla persona di Matteo Renzi. Potrà il progetto di un polo liberaldemocratico, serio e riformista ripartire da Azione? Magari andando alla ricerca di nuovi interlocutori nella galassia dei circoli e dei club che circolano in quest’area?

Il naufragio del Terzo Polo ha privato di valore aggiunto un’operazione di per sé complessa, fino a quando la legge elettorale resta quella con cui si è votato il 25 settembre, in ragione della quale vincono quelle forze che riescono a fare coalizione perché in questo modo si assicurano la grande maggioranza dei collegi uninominali. Le elezioni europee erano e rimangono un’opportunità perché si vota con un sistema elettorale proporzionale con sbarramento. A questo appuntamento i partiti di Azione e Italia Viva – salvo colpi di scena imprevisti e comunque destinati a non essere credibili – andranno ognuno per suo conto. E nessuno di loro può sperare e pretendere di fare da solo ciò che non sono stati in grado di fare assieme.

Occorre pensare a qualche cosa di nuovo e di diverso che arrivi alle prossime elezioni politiche, agendo in un arco temporale nel corso del quale potranno venire a maturazione le incompatibilità all’interno del Pd, quando verrà meno l’effetto Giovanna D’Arco impersonato Elly Schlein e dalla sua segreteria di estremisti. E’ su questo versante che le forze liberaldemocratiche devono lavorare, tenendo d’occhio un pezzo importante del Pd che potrebbe diventare la pietra d’angolo di un nuovo schieramento riformista. In sostanza, mentre Renzi continuerà nella sua azione politica corsara per la quale disporre di un partito è un mezzo per ritagliarsi un profilo personale, Calenda non deve illudersi – dopo il flop del Terzo Polo, di essere un richiamo o un punto di approdo dei dem che non accettano di convergere e competere con il M5S. Se ha possibilità di nascere, in questo quadro politico complicato, un punto di riferimento liberaldemocratico può sorgere solo da una costola del Pd. Protagonista di un’operazione di tale prospettiva potrebbe essere Marco Bentivogli con la sua Base Italia, oggi più vicina al Pd che ad Azione, in grado pertanto di iniziare dall’interno di quell’area una lunga marcia per salvare la sinistra da se stessa.