Siamo certi che Giuseppe Valditara, ministro dell’istruzione e del merito, si sia già pentito delle minacce rivolte a Annalisa Savino, preside del liceo Da Vinci di Firenze, “colpevole” di avere scritto una lettera in cui invita i suoi studenti a vigilare contro la violenza e il fascismo, citando Antonio Gramsci.

«È un’iniziativa inappropriata, non compete a una preside lanciare messaggi di questo tipo e il contenuto non ha nulla a che vedere con la realtà: in Italia non c'è alcuna deriva violenta e autoritaria, non c'è alcun pericolo fascista, valuterò se prendere provvedimenti» ha tuonato Valditara, precisando che «la politica deve restare fuori dalle scuole». Una reazione scomposta e paradossale che offre un assist dorato a chi lo accusa di impiegare metodi da Minculpop, censurando gli insegnanti che non si attengono alla narrazione del governo. Anche perché all’origine della lettera della dirigente scolastica c’è stato il pestaggio di alcuni studenti di sinistra davanti a un altro liceo di Firenze da parte di una squadraccia di Azione giovani, pestaggio che il ministro si è ben guardato dal condannare. Altra circostanza che porta a pensare male.

In verità la scuola di Valditara non c’entra nulla con quella del ventennio fascista, concepita da un intellettuale controverso ma senz’altro di grande cultura e competenza come Giovanni Gentile. Assomiglia molto di più a quella bigotta e classista del Regno d’Italia, con il maestro che brandisce la temuta bacchetta, con gli alunni “cattivi” inginocchiati sul granoturco e quelli “somari” esposti alla pubblica gogna con grandi orecchie d’asino. «Voglio ristabilire il principio di autorità» aveva detto il ministro la scorsa settimana criticando la scuola egualitaria aperta alla società nata dal 68, secondo lui origine di ogni male. E pensare che le punizioni corporali furono abolite proprio dal regime fascista. Che ara molto più moderno di Valditara.